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La strategia nordafricana dell’imperialismo litigioso
Piero Pagliani
27 Marzo 2011
“Quando guardo all’Europa centrale e orientale, sono estremamente ottimista riguardo il futuro che possiamo raggiungere in Nord Africa. …. Circa 20 anni fa voi siete riusciti a cambiare il regime, a cambiare i confini, a muovervi verso la democrazia. … Alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90, quando la Polonia e altri Paesi guadagnarono la loro libertà, ci fu sorpresa, a volte una sorpresa difficoltosa per molti che non sapevano come reagire. … Siamo pronti ad assistere se ce n’è bisogno e se ci sarà una prospettiva legale. Nel lungo periodo, dobbiamo anche pensare a come la NATO potrà assistere i Paesi del Nord Africa nella loro transizione alla democrazia”. Parole del Segretario Generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, ad una conferenza di Paesi ex-comunisti tenuta in Polonia, poche ore prima dell’inizio dell’attacco alla Libia. L’apocalittico scenario che prevede un intervento a tappeto della NATO in tutto il Nord Africa, conferma le ipotesi peggiori, ovvero che questa è la prima tappa di una lunga avventura in quel continente. Nel frattempo, dato che geopoliticamente il Nord Africa non si ferma di certo a Suez, lo schema si sta riproponendo pari pari in Siria, dove ci sono stati scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti contrari al governo baathista di Bashar Assad. Già c’è la rincorsa ai numeri: i morti sarebbero uno, no, venticinque, no cinquanta. Due note: una relativa alla mancanza ormai di ogni riguardo per l’intelligenza dell’opinione pubblica mondiale da parte dei poteri forti mondiali: il Financial Times ci viene a dire che le proteste scoppiate a Daraa sono state innescate dagli slogan contro il regime di Damasco scritti sui muri da alcuni bambini della città (sic!). Insomma: Assad è virtualmente un nuovo Erode. La seconda è una domanda: staremo a vedere cosa ne pensa il Vaticano dato che in Siria c’è una forte minoranza cristiana che trema all’idea che Assad possa essere rovesciato. In realtà chi è stato in Siria può testimoniare quanto sia laico e rispettoso delle minoranze cristiane il regime baathista. Si pensi solo che nel 2008 le celebrazioni dell’Anno Paolino (San Paolo sulla via di Damasco, no?) sono avvenute sotto il patronato “di Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica dottor Bashar al-Assad e del ministro dell’Informazione dottor Mohsen Bilal” e aperte se non ricordo male con una processione che è partita dalla Grande Moschea degli Omayyadi perché, come spiegava il suo direttore Jamal Mustafa Arab, “per noi è una cosa normale perché i cristiani hanno sempre avuto libero accesso in moschea dove hanno sempre potuto raccogliersi nelle loro preghiere. Con l’Anno Paolino ce ne saranno ancora di più” (faccio notare che nel centro della moschea c’è il cenotafio di Giovanni Battista, venerato da tutta la popolazione, anche musulmana; e posso testimoniare che ho visto nelle vie di Damasco gente farsi il segno della croce senza nessun problema). Vedremo gli sviluppi. Per ora ricordo solo che la conquista della Siria era una delle tappe previste dal ministro della Difesa di Bush, Rumsfeld e dal suo vice Wolfowitz: Iraq, Iran, Siria, Libia, Sudan, Somalia e Libano, come ha svelato il generale Wesley Clark. Vecchi piani? Cancellati dal Nobel per la Pace oggi in carica? Proprio per nulla, ha annunciato in Polonia Anders Fogh Rasmussen. Anzi, il cerchio si sta chiudendo. Possiamo allora iniziare a dire preventivamente: “Giù le mani (anche) dalla Siria!”. Piero Pagliani
Fonte > Comunismo e comunità
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