La realtà contraddice gli «attori della storia»
Paul Craig-Roberts
31 Ottobre 2008
«Siamo un impero, e quando agiamo creiamo noi stessi la nostra realtà.
E mentre voi studiate questa realtà, per quanto attentamente lo
facciate, noi agiremo ancora, creeremo nuove realtà che potrete anche
studiare, e questo è il modo in cui le cose ed è così che vi si
chiariranno le cose. Siamo gli attori della storia… ed a voi, a tutti
voi, resterà soltanto da studiare ciò che noi facciamo».
Un assistente di Bush alla Casa Bianca, che spiega «La Nuova Realtà».
Il Nuovo Secolo Americano è durato un decennio. La crisi finanziaria e
gli obiettivi mancati in Iraq, Afghanistan e Georgia, nell’autunno 2008
hanno portato alla crisi il progetto neoconservatore dell’egemonia
mondiale dell’America sul mondo.
I neoconservatori americani sono gli eredi di Leon Trotsky. Il loro
sogno di una «dominazione americana a tutto campo», la superiorità
militare ed economica degli USA su ogni altra combinazione possibile di
stati, è paragonabile nella sua ambizione soltanto al sogno trotskista
dell’inizio del XX° Secolo di una rivoluzione comunista mondiale.
I neocon si sono serviti dell’11 settembre come di una nuova Pearl
Harbor per dare precedenza al potere rispetto alle leggi nazionali ed
internazionali. Il potere esecutivo non doveva più obbedire alle leggi
federali, quali la Legge di Vigilanza sui Servizi Segreti per l’Estero,
o rispettare trattati internazionali come la Convenzione di Ginevra.
Una asserita «minaccia terroristica» alla sicurezza nazionale è
diventata il mantello sotto cui nascondere gli interessi imperialistici
statunitensi mentre il Regime Bush si apprestava a smantellare le
libertà civili e l’ordine costituito delle leggi internazionali
accettato dal precedenti governi nell’era post bellica.
Forse il progetto neoconservatore per un’egemonia mondiale sarebbe
durato più a lungo se i neocon avessero avuto una qual competenza
internazionale.
Sul fronte della guerra l’incompetenza neocon aveva predetto che la
guerra in Iraq sarebbe stata una passeggiata di sei settimane, il cui
costo di 70 miliardi di dollari si sarebbe ripagato con i profitti del
petrolio iracheno. Il presidente Bush silurò l’economista della Casa
Bianca Larry Lindsey per aver stimato che la guerra sarebbe costata 200
miliardi di dollari. La stima attuale secondo gli esperti è che la
guerra in Iraq è costata sinora, al contribuente americano, fra due e
tre trilioni di dollari. E la guerra che doveva durare sei settimane
dura da ormai sei anni.
Sul fronte economico gli incompetenti neocons non hanno considerato il
fatto che un paese che, al fine di massimizzare i profitti a breve,
trasferisce all’estero la propria industria ed i propri migliori
lavori, diventa progressivamente più debole. I discorsi propagandistici
su una «Nuova Economia» costruita attorno al predominio finanziario
nascondevano il fatto che gli USA erano il più grande paese debitore
del mondo, dipendente da stranieri per finanziare le attività
giornaliere del proprio governo, i mutui della case dei propri
cittadini e le proprie operazioni militari all’estero.
In Iraq i neocons hanno rinunciato alle proprie pretese militari nel
momento in cui hanno messo 80.000 insorti sanniti sul libro paga
dell’esercito americano in modo da ridurre proporzionalmente i
combattimenti e le perdite delle nostre truppe.
Hanno ulteriormente rinunciato alle proprie pretese militari in
Afghanistan nel momento in cui hanno dovuto demandare a truppe NATO la
lotta contro i talebani.
Le pretese militari USA sono giunte a fine in Georgia quando il Regime
Bush ha mandato truppe georgiane ad effettuare la pulizia etnica degli
abitanti russi dell’Ossezia del Sud per tentare di porre fine ai
movimenti secessionisti nella regione, al fine di spianare la via
all’ammissione della Georgia nella NATO. Ai soldati russi sono bastate
poche ore per distruggere l’esercito georgiano addestrato ed
equipaggiato dagli USA e da Israele.
L’attuale crisi finanziaria ha messo fine alle pretese dell’egemonia
finanziaria americana e alle illusioni del libero mercato che la
deregolamentazione e il lavoro all’estero avrebbero portato prosperità
all’America.
In un lungo articolo del 30 settembre, dal titolo «La fine dell’arroganza», la rivista tedesca Der Spiegel osservava:
«Questi non sono più gli arroganti e possenti Stati Uniti che il mondo
consoce, la superpotenza che detta le regole a tutti gli altri e che
considera il proprio modo di pensare e di condurre gli affari come
unica via verso il successo… Appare anche la fine dell’arroganza; gli americani stanno adesso pagando il prezzo del proprio orgoglio. Sono passati i giorni in cui gli USA potevano lasciarsi andare
all’indebitamento, senza considerare chi avrebbe alla fine dovuto
pagare i conti».
«E sono finiti i giorni in cui potevano imporre le proprie regole di
ingaggio a tutto il resto del mondo, regole che ponevano il profitto
sopra ogni altra cosa, senza neppur considerare che non si possono
ottenere tali risultati conducendo gli affari in maniera rispettabile. E’ cominciato un nuovo capitolo della storia economica, in cui gli USA
non potranno più svolgere un ruolo dominante. Da anni è in atto un
processo di ri-distribuzione del denaro e del potere in tutto il mondo,
via dall’America, verso paesi ricchi di risorse e nazioni
industrializzate emergenti in Asia. La crisi finanziaria potrà soltanto
accelerare tale processo».
A proposito del suo avversario sconfitto, George W. Bush, il presidente
iraniano Ahmadinejad ha osservato: L’impero americano nel mondo è
giunto al termine del suo cammino; i suoi prossimi governanti dovranno
limitare la propria ingerenza ai propri confini.
Mai furono pronunciate parole più vere.
Paul Craig-Roberts
(Vice Segretario al Tesoro durante la prima presidenza Reagan)
Fonte > Online Journal | 28/10/2008
Tradotto da Arrigo de Angeli per EFFEDIEFFE.com