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L'Università, un affare di famiglia
Stampa.it
04 Agosto 2011
Università e clientelismo familiare: una voce (statistica) da dentro. Letteralmente impressionante. E poi anche i professori non sarebbero una casta? E poi solo i politici sarebbero contro la cultura?
L’università italiana ottiene il certificato di famiglia. Una storia che si ripete, come i cognomi verrebbe da dire. Per la prima volta infatti il nepotismo nel mondo accademico italiano viene certificato scientificamente da una rivista internazionale. A dimostrare che l’Università nel nostro paese è “un affare di famiglia” arriva una ricerca della University of Chicago Medical Center condotta, guarda caso, da un “cervello in fuga”, Stefano Allesina, del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell’ateneo americano.
E dire che il metodo è davvero semplice: Allesina infatti a effettuato un’analisi della frequenza dei cognomi nelle varie istituzioni e discipline universitarie. Per farlo si è affidato al database del Ministero dell’Università, un cervellone che contiene le informazioni di oltre 61mila docenti di ruolo per un totale di 94 istituzioni, insieme con dipartimento e sotto-disciplina relative a ciascuno.
I risultati sono stati sorprendenti: in molti settori infatti - secondo Allesina - i dati ottenuti sono “incompatibili con modalità di assunzione trasparenti”. In sostanza risultano meno cognomi rispetto a quelli che dovrebbero effettivamente esserci, significa quindi che molti di questi si ripetono. “Fondamentalmente - ci spiega il ricercatore italiano - ho calcolato, per ogni disciplina, quanti cognomi ci dovrebbero essere se le assunzioni fossero regolari”. E in alcune di queste i conti non tornano: “ A Medicina, per sempio, ci sono 10mila 783 accademici. Tra questi, trovo 7mila 471 cognomi. Secondo i miei calcoli ce ne dovrebbero essere almeno trecento in più”. La probabilitità che, con assunzioni regolari, ci siano solo 7mila 471 cognomi - secondo Allesina - è meno di una su mille, “ovvero è quasi impossibile che la scarsezza dei cognomi diversi riscontrata non sia dovuta a pratiche anomale”.
Nessuna malizia quindi ma semplice statistica. Il quadro di riferimento utilizzato per verificare l’attendibilità della frequenza con cui i cognomi si ripetono è infatti la vita reale e l’Università non è un mondo a parte dove le regole della statistica non si applicano. Da una prima verifica ad esempio, oltre 27mila cognomi diversi sono risultati almeno una volta nel set di dati. Allesina ha cercato quindi di verificare se alcuni tornassero più spesso del previsto in certi settori e così ha programmato il computer per condurre un milione di test casuali nel database e vedere se la probabilità di incappare negli stessi cognomi fosse paragonabile a quella che si può riscontrare nella realtà.
Risultato? Una frequenza degli stessi cognomi assolutamente improbabile e che in alcuni settori è risultata più marcata. Ripetendo infatti l’operazione per le diverse aree accademiche, il ricercatore ha scoperto che il livello più alto di nepotismo è presente nelle aree accademiche come: medicina, ingegneria industriale, diritto, geografia e pedagogia, mentre linguistica, demografia e psicologia sono invece alcuni dei campi in cui la distribuzione dei cognomi è più simile a quella casuale.
Un “nepotismo statistico” che però non ha solo una base tematica ma anche geografica: per verificare dove sia più diffuso Allesina ha infatti testato la probabilità di trovare almeno una persona che condividesse il cognome con un accademico della stessa area di studi e ha scoperto -strano a dirsi - che questo si verifica molto più al sud che al nord con un picco in Sicilia.
La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica online “Plus One” ha già fatto clamore e suscitato le prime reazioni in Italia dove negli ultimi anni si sono moltiplicati gli scandali, dai concorsi truccati all’Università di Bari finiti sotto il mirino della magistratura alle assunzioni di parenti e amici all’Università La Sapienza di Romasvelate dai giornali su segnalazione degli stessi studenti. “Invece di fare ricerche basandosi sui cognomi sarebbe meglio verificare se un accademico è bravo oppure no - fa sapere Luigi Frati, rettore dell’Università la Sapienza - la meritocrazia non ha cognome”. Non tutto il mondo accademico però reagisce allo stesso modo: “Stiamo sparando sulla croce rossa e mi sembra che si esageri - spiega Virgilio Ferrario, preside della Facoltà di Medicina dell’Università degli studi di Milano - il fenomeno è particolarmente odioso e sviluppato al sud e in alcune Facoltà ma non si può usarlo come scusa per scardinare tutto il sistema”.
A rendere particolarmente semplice questa ricerca è la sua base scientifica: i risultati infatti sono difficilmente confutabili perché basati su dati statistici. Un’indagine che potrebbe quindi essere applicata anche nel settore dell’amministrazione pubblica.
Allesina nella sua ricerca non manca comunque di sottolineare come in effetti il sistema delle assunzioni sia stato modificato nel 2010 dalla riforma Gelmini. In ogni caso però siamo solo alla punta dell’iceberg. “C’è da notare - sottolinea infatti il ricercatore - che questa analisi non consente di individuare i casi di nepotismo madre-figli e marito-moglie, perciò la situazione potrebbe essere molto peggio di quella emersa nel mio lavoro”.
CARLO DI FOGGIA
Fonte > Stampa.it
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