Quale lingua adoperano quando parlano fra loro la Commissaria Ue Cecilia Malstrom e il ministro Maroni? Fra le 27 lingue riconosciute nell’Unione europea c’è una grande scelta, ma evidentemente il nostro ministro non riesce a farsi comprendere visto che la signora Malstrom afferma una cosa del tutto incredibile: che l’Italia ha rifiutato l’aiuto offertole per far fronte all’ondata immigratoria.
Suvvia, gentile signora! L’Italia ha sicuramente chiesto almeno quello che l’Ue sarebbe stata tenuta a fare subito senza alcuna richiesta visto che i confini dell’Italia sono anche i confini dell’Unione. Ma si tratta con tutta evidenza di un’Europa che esiste soltanto sulla carta e nei trattati; e fa quasi ridere il viaggio in Africa del vaporoso «ministro degli esteri » dell'Ue, debole rappresentante di uno Stato che non esiste e che per giunta, essendo donna, è la persona meno adatta a farsi prendere sul serio da un governante musulmano che non le tocca la mano per non contaminarsi e che la considera in base al Corano «di un grado inferiore».
Detto questo, però, veniamo alla realtà, una realtà gravissima e che dobbiamo affrontare senza illusioni. Il progetto di inclusione nell’Europa dei cosiddetti «Paesi mediterranei » è saltato prima ancora che si fosse cominciato a realizzarlo perché era, come tutti i progetti dell’Unione, un sogno di potenza fatto sulla carta, in omaggio a quella geopo-litica che ha dimostrato, fino dai tempi di Hitler, di condurre soltanto al fallimento. Alla geopolitica, e di conseguenza ai progetti dell’Unione europea, mancano i popoli. Che siano Paesi «bagnati dal Mediterraneo » non cambia nulla al fatto che i popoli non ci somigliano per niente perché sono africani, musulmani, organizzati in forma tribale, sempre in guerra tanto fra loro quanto con i propri pseudo governi. L’Italia deve quindi per prima cosa abbandonare l’atteggiamento inclusivo e protettivo dell’Ue e ripristinare immediatamente i propri confini e le dogane con relativo severissimo controllo, sospendendo lo sciagurato trattato di Schengen, un trattato che un Paese come l’Italia, aperto a tutti gli approdi, non avrebbe mai dovuto firmare.
Naturalmente i confini vanno protetti adeguatamente sul mare con pattugliamenti e navi apposite, nella nostra area e quindi senza bisogno di consenso della Tunisia o di qualsiasi altro Paese, visto che questi hanno già dichiarato che non accettano interferenze nella loro zona. Sembra evidente che non ha senso lasciare che la Tunisia proclami l’orgoglio del proprio territorio e l’Italia non faccia altrettanto. A questo punto si alzeranno come al solito le mille voci che reclamano la solidarietà con i «poveracci», con i «disperati» che scappano, il dovere di accogliere i rifugiati e tutta la sequela di norme che l’Europa si è data per affermarsi come la più perfetta e la più generosa delle democrazie. Il governo italiano non deve ascoltarle in base al suo primo dovere: proteggere, salvaguardare la vita e i beni degli italiani. Cosa che, anche mettendo in atto il massimo rigore, sarà difficilissimo fare. Detto questo, però, bisogna anche prospettare la situazione nei suoi veri termini: quello che succede in Africa, nell’Est europeo, in Medio Oriente, solo apparentemente è dovuto a ribellioni contingenti, a moti terroristici, a faide tribali o a lotte di potere militari.
La vera causa si trova dietro a questi fatti, anche se nessuno raccoglie le analisi degli storici, le denunce di economisti, di politici, di giornalisti che da anni provano questa realtà. I sommovimenti che si sono susseguiti ininterrottamente nell’ex Jugoslavia, in Albania, in Romania, in Grecia, in Somalia, in Tunisia, in Algeria fino a quello odierno in Egitto, il più drammatico perché in un certo senso segna una specie di crisi finale, sono stati preparati e fatti scoppiare di proposito affinché l’Europa venisse invasa, sconvolta e infine distrutta nella sua realtà culturale e politica. Questo significa che l’unificazione europea aveva questo scopo: con la distruzione degli Stati rendere più facile l’immigrazione di massa e l’annientamento dell’europeità.
Ida Magli
Fonte > Il Giornale