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Italia maglia nera della crescita
Il Sole 24 Ore
19 Aprile 2008
Montezemolo rilancia il decalogo delle misure urgenti per la competitività
«Negli anni 70 e 80 l'Italia era una delle economia più dinamiche. Altri tempi. Negli ultimi dieci anni ha avuto la maglia nera della crescita tra tutti i Paesi industriali, con l'unica eccezione del Giappone. Tradotto in numeri, il Pil è cresciuto dell'1,5% medio all'anno, il peg-gior risultato del dopoguerra. Un trend che negli anni 2000 è stato ancora peggiore, con un aumento dell'1,1, proprio mentre il mondo viveva una delle sue stagioni più floride.
Produttività stagnante, una pubblica amministrazione costosa e inefficiente, un fisco opprimente, infrastrutture inadeguate, poca ricerca, un orario di lavoro tra i più bassi d'Europa, l'onere del debito pubblico: è dentro confini italiani che vanno trovate le ragioni di questa crescita al rallentatore, come mette in evidenza il Centro studi di Confindustria, in una analisi di banchmarking che documenta la sconfitta del Paese.
Se ne parlerà oggi, al Lingotto di Torino, nel convegno che il centro studi organizza ogni due anni. "Cambiare per crescere", è lo slogan. Non ci saranno politici, ma è a loro e al prossimo Governo che viene lanciato il messaggio di quanto sia urgente per l'Italia voltare pagina. Le non scelte degli ultimi 15 anni, come ha detto più volte il presidente, Luca di Montezemolo, hanno un costo: 225 miliardi di euro all'anno. Tutti soldi sottratti alle infrastrutture, alla ricerca, allo sviluppo.
Montezemolo concluderà stasera il convegno, rilanciando il decalogo che Confindustria ai primi di marzo ha presentato alla forza politiche, in vista del voto. La maggioranza, ora, ha i numeri: secondo il presidente di Confindustria ci sono le condizioni di governabilità per fare le riforme. E dal Lingotto, un mese prima di passare il testimone a Emma Marce-gaglia, Montezemolo farà un'analisi dei mali e delle scelte urgenti per il Paese.
Ma "Cambiare per crescere" è una sfida che vale anche per le imprese. Nel 2004 il Paese non cresceva e l'Italia perdeva quote di mercato. Oggi il Pil è quasi fermo, ma l'export italiano tira, nonostante l'euro forte. Una dimostrazione che le aziende hanno innovato, sono riuscite a trovare nuovi sbocchi.
Ma per andare all'estero bisogna avere gambe solide: e per le nostre piccole aziende diventa un imperativo crescere. Da un documento che sarà presentato da Luca Paolazzi, direttore del Centro studi, emerge che le imprese che esportano sono più redditizie e che la quota di export aumenta con il crescere della dimensione d'impresa. Grandi sì, ma quanto? Ciò che basta per essere leader sul proprio mercato, il che non vuol dire "grosso", ma "vincente" e capace di fare qualcosa di speciale.
È uno sforzo che le aziende stanno già facendo ed è dimostrato dai numeri. Certo, potrebbero crescere meglio se ci fosse un sistema Paese adeguato. Sul fisco, per esempio, che è ai livelli più alti della Uè. In particolare sulle imprese gravano aliquote più elevate della media europea, nonostante la tendenza alla riduzione (negli altri Paesi è stata maggiore). Inoltre il cuneo fiscale e contributivo fa sì che il costo delle lavoro per le imprese sia quasi il doppio rispetto a ciò che prendono i lavoratori in busta paga. E così affonda la produttività: il costo del lavoro per unità di prodotto è aumentato del 26,1% negli ultimi 10 anni, contro il 14,2 dell'Euro-zona, senza essere bilanciato da aumento di produttività.
Un gol importante, invece, è stato segnato nel mercato del lavoro: sono stati creati 3,3 milioni di posti di lavoro e la disoccupazione è scesa dall'11,3% al 6,1, un successo ottenuto soprattutto grazie alla flessibilità. Il mercato del lavoro è un tassello importante di un nuovo welfare: su questo si concentrerà Roberto Perotti, docente della Bocconi. Bisogna rimettere al centro la produttività, premiare il merito, liberalizzare il mercato del lavoro, ma creando una rete di sicurezza sociale efficiente, con uno scambio politicamente e finanziariamente fattibile.
L'esempio può venire dai Paesi Scandinavi, dove ci sono programmi di welfare sperimentali, differenziati per il tipo di cittadino-utente e con una valutazione dei risultati. Il modello della Danimarca può essere un punto di riferimento e oggi al convegno infatti sarà ospite il ministro del Lavoro danese, Claus Hjort Frederiksen.
Fonte > Il Sole 24 Ore
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