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Israele non cederà mai i territori occupati
Voltairenet
07 Luglio 2011
Intervista a Giorgio S. Frankel
I dirigenti israeliani affermano di essere "pronti a fare la pace" con palestinesi. In realtà i governi israeliani succedutisi negli anni non hanno mai avuto nessuna intenzione di fare la pace. Si sono invece serviti del cosiddetto processo di pace per continuare la loro politica di distruzione e di disumanizzazione, non solo della Palestina ma anche di altri Paesi e popoli del Vicino e Medio Oriente. Hanno potuto opprimere e scacciare il popolo palestinese senza mai subire sanzioni. Il giornalista italiano Giorgio S. Frankel, intervistato da Silvia Cattori, evidenzia la complicità di questi giornalisti di parte - e dei governi occidentali – nell’espansione dello Stato ebraico e nel prolungamento delle sofferenze del popolo palestinese.
Silvia Cattori: Come lei sa quando si tratta dei crimini commessi dall’esercito israeliano contro gli arabi, la stampa non è affatto neutra. Non é lei stesso uno di questi giornalisti che nel passato ha contribuito a dipingere un’immagine idilliaca di Israele? Giorgio S. Frankel (1): Sì, in passato ho partecipato a questa propaganda sionista perché sono cresciuto in un contesto favorevole a Israele. Quindi avevo assorbito questa cultura. In un certo senso la stampa, i media occidentali, contribuiscono attivamente a perpetuare l’immagine e l’ideologia di Israele. Questo aprirebbe un discorso lunghissimo sul potere delle forze filo-israeliane nella stampa e nei media. Teniamo presente che praticamente tutti i corrispondenti dei giornali statunitensi in Israele sono ebrei filo-israeliani. Molti di essi hanno servito volontariamente nelle forze armate israeliane. Quindi questo fenomeno esiste. Uno dei pilastri della potenza israeliana nel mondo è questa capacità di perpetuare la narrativa israeliana e di modificare continuamente la storia per riscriverla in modo favorevole a Israele. Per esempio adesso sono passati più di 40 anni dalla guerra del giugno 1967. Quasi tutti non ricordano più come è iniziata. La letteratura filo-israeliana scrive con disinvoltura che è stata una guerra in cui Israele si è dovuto difendere da una aggressione araba. Questa aggressione araba non è mai esistita. È Israele che nel giugno 1967, alla fine di una lunga crisi politica con la Siria, attaccò l’Egitto di sorpresa. Oggi si scrive che Israele ha dovuto condurre una guerra di difesa dopo una aggressione araba. Questo è un esempio. Silvia Cattori: Il fatto che i corrispondenti statunitensi inviati in Israele, siano «quasi tutti ebrei filo-israeliani» è certamente un problema. Ma a suo avviso nei Paesi europei non vediamo lo stesso fenomeno? Giorgio S. Frankel: L’Europa ha avuto un atteggiamento misto fino a qualche anno fa. In un passato non molto lontano l’Europa tendeva di più a simpatizzare per i palestinesi. Negli anni ‘70 e ‘80, l’Italia era manifestamente più filo-araba che filo-israeliana. L’atteggiamento europeo è cambiato dopo l’attacco dell’11 settembre 2001, quando si è scatenata nel mondo questa politica antiaraba. L’attacco è stato identificato come un’offensiva araba contro il mondo occidentale. Dopo questa svolta antiaraba si è diffusa nel mondo occidentale una crescente ostilità verso l’Islam. L’islamofobia in Europa è stata trasmessa dagli Stati Uniti. Oggi l’Europa, dopo l’11 settembre, e con la politica dei Paesi europei dopo la guerra all’Iraq, si è allineata sulle posizioni statunitensi e persegue una politica antiaraba. Questa crescente islamofobia è in gran parte alimentata, condivisa, sostenuta da Israele. Bisogna sapere che i più importanti razzisti europei, come l’olandese Gert Wilders, e altri razzisti nordici, sono considerati eroi in Israele. Gert Wilders è regolarmente invitato a tenere conferenze anche nelle università israeliane. C’è questo atteggiamento anche nei media europei; un po’ meno in quelli britannici. Però, in effetti, per tanti motivi, Israele è riuscito a imporre il suo linguaggio, la sua narrativa delle vicende vicino e medio-orientali. Gli israeliani hanno un grande potere, hanno una grande capacità propagandistica. I palestinesi non dispongono di questa forza. Gli arabi non hanno questa capacità. Israele ha preso il controllo a poco a poco. Ha impiegato molto tempo. Adesso ha praticamente il controllo delle comunità ebraiche in Europa e negli Stati Uniti. Un tempo non era così. Un tempo le comunità ebraiche criticavano la politica di Israele. Quindi se noi pensiamo alla propaganda a favore di Israele negli Stati Uniti, questa non è fatta da emigrati, ma è fatta da ebrei statunitensi che ne condividono la cultura, il linguaggio. Non sono estranei. Gli ebrei statunitensi sono pienamente integrati, membri del Congresso, giornalisti. La propaganda filo-israeliana è rafforzata da questo fatto. Silvia Cattori: Quando questo controllo politico di Israele sul mondo ebraico ha preso questa svolta? Giorgio S. Frankel: Bisogna ricordare che all’inizio il sionismo era osteggiato nel mondo ebraico, soprattutto tra gli ebrei statunitensi. C’è voluto molto tempo perché i sionisti riuscissero ad affermarsi. Questo, tra l’altro, è una delle origini storiche della notevole arroganza, della propensione alla violenza del sionismo. Il sionismo è diventato arrogante e politicamente violento proprio nella sua esperienza negli Stati Uniti, quando doveva affermarsi nell’ebraismo statunitense. Soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Gli ebrei di tutto il mondo hanno sempre avuto un atteggiamento molto favorevole e molto sentimentale nel confronto di Israele. Se vogliamo parlare di svolta, c’è stata una svolta importante dopo la guerra del giugno 1967. Questa guerra è importantissima nella storia di Israele. Ha creato nella mentalità israeliana un senso di sicurezza e di potenza. Quindi c’è sempre stata una dialettica tra Israele e l’ebraismo, tra chi doveva dominare l’altro. Ma dopo la guerra del 1967 i governi israeliani hanno deciso che spettava a loro dominare il mondo ebraico. Così è stato fatto a poco a poco. Silvia Cattori: Dunque la propaganda delle autorità israeliane, che ha sempre teso a denigrare e disumanizzare gli arabi e i musulmani, serve, tra l’altro, a coinvolgere e a ottenere la piena adesione degli ebrei al progetto sionista di dominazione e di distruzione della nazione palestinese? Giorgio S. Frankel: La paura dei popoli musulmani è cresciuta dopo l’11 settembre. Questo evento ha permesso alle forze israeliane di additare il mondo islamico come un nemico storico del mondo occidentale con il quale non si può fare la pace. In Europa per motivi storici, che risalgono alle crociate, c’è questo timore ancestrale dei musulmani. Dopo l’11 settembre è stato facile rilanciare questa paura. Silvia Cattori: Questa propaganda israeliana contro il mondo arabo e musulmano è riuscita fino ad oggi, con l’aiuto dei nostri giornalisti e governi, a mascherare gravi crimini come la pulizia etnica, l’annessione di Gerusalemme, i ripetuti massacri. È difficile capire che crimini così gravi e massicci non pongano un problema morale agli ebrei che sostengono lo Stato che li commette in loro nome. Vediamo persino giornalisti progressisti, militanti di gruppi Ebrei per la pace tenere un discorso che risparmia, e in un certo senso legittima, il progetto razzista dello Stato israeliano. Solo piccoli gruppi marginali hanno sempre sostenuto chiaramente il diritto al ritorno dei palestinesi (2). Non è sempre stato questo un modo di legittimare la politica di uno Stato il cui progetto politico razzista, la cui ideologia violenta, ha vuotato la Palestina dei suoi abitanti arabi? Giorgio S. Frankel: È estremamente complicato. Se ci si attiene a fasi del negoziato israelo-palestinese, gli stessi negoziatori palestinesi dicono implicitamente che se si facesse uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza, il ritorno dei rifugiati sarebbe compreso nello Stato Palestinese; che loro si accontenterebbero di una dichiarazione da parte di Israele di un’assunzione di responsabilità storica per il dramma dei palestinesi cacciati nel 1948; che Israele potrebbe lasciar entrare solo qualche decina di migliaia di palestinesi. Anche nel piano di pace proposto dal re dell’Arabia Saudita nel 2002, riconfermato nel 2007, non si parla esplicitamente di diritto al ritorno, ma di una soluzione negoziata tra Israele e i palestinesi. Nell’ipotesi di una soluzione due Stati il problema è di sapere se questa soluzione due Stati sia possibile, con Israele entro i confini del 1967, e uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. In questi ultimi dieci anni si è continuato a parlare di due Stati per due popoli. Ora, quel che si è visto, forse definitivamente nel 2010, è che questa soluzione non è assolutamente possibile, perché Israele si è preso metà delle terre conquistate nel 1967 per costruire le colonie. Israele non cederà mai questi territori. Quello che è emerso è che Israele non ha premura; che Israele vuole col tempo arrivare al dominio di tutto il territorio. Al totale dominio della Cisgiordania e di Gaza. Il che implica di fatto la conseguente espulsione dei palestinesi che ci vivono. Silvia Cattori: L’Autorità di Ramallah, i dirigenti dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) - compromessi in processi di pace che hanno permesso a Israele di continuare a colonizzare la Cisgiordania - hanno rinunciato ai diritti legittimi del loro popolo, pensando di ottenere in cambio il loro Stato palestinese. Riusciranno ad avere questo Stato? Giorgio S. Frankel: Sì, esatto. Anche il presidente Yasser Arafat era su questa posizione: se facciamo uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza non pretendiamo più il diritto al ritorno. Nei negoziati con Israele il diritto al ritorno è stato usato come una carta negoziabile. La cosa importante per i dirigenti palestinesi era quello di avere il loro Stato in Cisgiordania e a Gaza. Questo Stato ormai non ci sarà mai più. È possibile che questi dirigenti palestinesi oggi siano in collusione con Israele. Quindi che siano praticamente dei fantocci di Israele. Tutti questi negoziati non hanno ottenuto assolutamente nulla. Le condizioni dei palestinesi sono peggiorate.Teniamo presente che da quando nel 1993 c’è stato l’incontro Yasser Arafat et Yitzhak Rabin, la famosa stretta di mano alla casa Bianca, gli israeliani hanno continuato a espropriare terre in Cisgiordania, a cacciare i palestinesi dalle loro case per sviluppare le loro colonie. In questi 17 anni si è ampiamente dimostrato che Israele non ha la benché minima intenzione di fare una pace che porti alla creazione di uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. Quando i dirigenti israeliani parlano di uno Stato palestinese non dicono mai dove dovrebbe nascere. Per loro lo Stato palestinese è la Giordania. Il loro obiettivo è rovesciare la monarchia giordana e mandare lì tutti i palestinesi. Questa è la dottrina: la Giordania è per gli israeliani la Palestina. Tutto il loro discorso è questo. Gli israeliani non sono mai stati disposti a restituire i territori conquistati nel 1967. Mai e mai. Quindi la questione del diritto al ritorno non si pone oggi come obiettivo realistico. Il problema è questo: la formula dei due Stati non è più possibile. Ci sarà mai uno Stato solo che comprende Israele, l’attuale Cisgiordania e Gaza? Bisogna vedere se questo sarà uno Stato unico (binazionale), come dice Ilan Pappé. Oppure se sarà uno Stato dominato dagli israeliani in cui i palestinesi non saranno mai demograficamente in maggioranza ma saranno sottoposti al dominio ebraico. Potrebbero anche venire cacciati... Silvia Cattori: Questa è una probabile eventualità secondo lei? Giorgio S. Frankel: Penso che Israele in realtà - anche se è una grande potenza mondiale, una potenza militare, nucleare e tecnologica - stia andando verso il disastro. Verso un collasso interno. Gli indici sono questa crescente follia della classe dirigente israeliana. Si è visto proprio in questo ultimo anno l’escalation di razzismo in Israele. Razzismo anche verso gli arabi cittadini di Israele. Ci sono manifestazioni in Israele di razzismo verso gli arabi, di xenofobia verso i lavoratori stranieri, di xenofobia verso la componente russa. Ci sono crescenti fratture nel mondo ebraico tra askenaziti e sefarditi, tra bianchi e neri falascia. Tutta la società israeliana si sta frammentando, sprofondando e degradando in un complesso di odio razziale verso tutti. Israele ha un atteggiamento sempre più ostile verso il resto del mondo. Basta un nulla per creare incidenti diplomatici. Mentre generazioni di giovani ebrei statunitensi sono sempre più disincantati rispetto a Israele. Questo significa che Israele rischia il collasso, se non succedono cose esterne. La classe dirigente israeliana è di livello sempre più basso. L’intellighenzia israeliana è sempre più bassa. Israele non produce cultura, non produce idee, non produce progetti. Produce armi, apparecchiature elettroniche; ma non produce cultura. La sua classe politica è sempre più corrotta economicamente, culturalmente e nei costumi. L’ex capo dello Stato israeliano è stato condannato per violenza sessuale. Questo è esemplare della attuale corruzione israeliana. Israele è votato a un declino. Questo declino può essere accelerato dal fatto che Israele si è legato a filo doppio agli Stati Uniti. Oggi la sua politica si dimostra molto pericolosa perché la situazione interna statunitense è sempre più grave. Il futuro di Israele è molto dubbio. Silvia Cattori: Eppure Israele non sembra in una posizione debole ma di dominio. Non soffre alcuna crisi economica. La sua moneta è forte e stabile. Continua a tenere testa al mondo; a non cedere terreno e a proseguire, senza essere disturbato, la politica di pulizia etnica dei palestinesi. È persino in grado di rivendicare concessioni, sempre più umilianti, per rendere ogni soluzione ai problemi creati ai vicini arabi, impossibile. Malgrado la gravità dei crimini commessi da più di 60 anni, Israele non solo non è sanzionato ma è corteggiato dai nostri governi. Se Israele può comportarsi in modo cosi arrogante e violento, sfidare le grandi potenze, ci deve essere un motivo segreto che ha permesso a tutti i governi israeliani di sfidare chiunque. Come lei interpreta questa sua crescente arroganza senza precedenti nella politica internazionale? Giorgio S. Frankel: Questo è vero. I fondamenti di questa arroganza sono molteplici. Un fondamento è la potenziale atomica israeliana. Israele è forse la quarta potenza atomica nel mondo. Già negli anni ‘70, quasi quaranta anni fa, si diceva che Israele fosse in grado di esercitare una deterrenza nucleare contro l’Unione sovietica. Questo spiegava perché l’Unione Sovietica fosse sempre molto cauta con Israele. Pochi anni fa uno storico militare israeliano di origine olandese, Martin Van Cleveld, un notissimo studioso e autore di studi militari, disse in un’intervista che Israele aveva armi atomiche puntate contro tutte le capitali del mondo occidentale. Si parla molto di questa dottrina Sansone (3). L’idea è questa: se Israele si trovasse in una situazione tale da farle ritenere di essere sul punto di soccombere, allora trascinererebbe con sé il mondo. Prima di soccombere lancererebbe bombe atomiche sull’Europa, sul mondo arabo, sugli Stati Uniti. Scienziati israeliani hanno più volte affermato che gli israeliani possono colpire qualsiasi punto del globo.Ora conoscendo la storia e la mentalità israeliana questo atteggiamento può apparire razionale nel senso di un’argomentazione volta ad imporre agli altri Paesi di rispettare la volontà israeliana. Dopo tutto un Paese europeo può chiedersi perchè sostenere la causa dei palestinesi se si rischia di essere bombardato e attaccato. Il fatto che Israele possa esercitare un ricatto atomico, diretto o indiretto, che possa anche minacciare di fare una guerra ai Paesi arabi o all’Iran usando bombe atomiche, scatenerebbe una crisi globale. Le possibilità di usare direttamente un ricatto atomico sono moltissime. Questo è un fatto direi fondamentale. Poi, il legame strategico con gli Stati Uniti, che è iniziato dopo la guerra del giugno 1967, ha conferito a Israele notevole potere internazionale e una sorta di immunità. Qualsiasi cosa Israele faccia, gli Stati Uniti lo proteggono. Se c’è una risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Uite contro Israele non può passare, perché gli Stati Uniti,quale membro permanente, possono opporre il loro veto. utto ciò ha dato ad Israele un notevole potere, un elevatissimo grado di immunità. Si è poi creato nel mondo, non so se è un mito - ma dato che praticamente tutte le cancellerie lo tengono per buono – l’idea che Paesi e forze politiche se vogliono avere buoni rapporti con gli Stati Uniti devono avere buoni rapporti con Israele. C’è una propensione di molti Paesi del Terzo Mondo, ecc., a stabilire buoni rapporti con Israele in modo che poi la lobby filo-israeliana negli Stati Uniti sostenga questo Paese. Così fece la Turchia negli anni passati prima del governo di Erdogan. L’hanno fatto molti altri. Si è visto che quei Paesi che hanno tenuto buoni rapporti con Israele, sono stati gratificati dagli Stati Uniti. Le ragioni per cui Israele è così potente negli Stati Uniti sono dovute al fatto che Israele ha stabilito un controllo del Congresso. Israele domina sul Congresso negli Stati Uniti; veramente lo domina. Da decenni, gli israeliani hanno creato negli Stati Uniti una serie di strutture, di istituzioni chiamate lobby israeliana. Questa lobby è formata da varie organizzazioni specializzate. C’è la lobby specializzata al Congresso, la lobby che preme sulla Casa Bianca, la lobby che stabilisce rapporti stretti con i vertici militari, etc. Tenendo conto che negli Stati Uniti ci sono 6 milioni di ebrei benestanti, queste organizzazioni che sono finanziate dal mondo ebraico, dispongono di fondi enormi. Una delle più importanti, l’AIPAC, ha 100.000 iscritti. Ha una potenza enorme. I suoi membri mandano fax, e-mail ai deputati, ai senatori, raccolgono fondi. Una cosa molto importante di cui i giornali europei hanno parlato pochissimo, ma ne hanno parlato i giornali israeliani e anche alcuni giornali ebraici, è il fatto che, all’inizio dell’anno 2010, i rapporti tra Obama e Israele erano pessimi. Obama era disposto a usare una politica di pressione sempre più dura su Israele. Così sembrava. A maggio Obama ha cambiato completamente e ha ceduto via via a tutte le richieste degli israeliani. I giornali israeliani hanno rivelato che i principali finanziatori ebrei del partito democratico avevano tagliato i finanziamenti. I miliardari ebrei, a marzo 2010, hanno fatto sapere che non davano più un dollaro se Obama non cambiava politica. Obama si è trovato alla vigilia delle elezioni di mezzo termine in difficoltà politiche col proprio partito, che aveva perso i finanziamenti ebrei. Quindi questa è una fonte di potere. Bisogna aggiungere anche un altro fattore di potere provvisorio. Con l’era della globalizzazione economica, Israele è diventato un elemento strutturale di questo super potere globale che si è sviluppato a partire dagli anni ‘80 e ‘90. Fra l’élite globale che ha il potere economico, ecc., Israele è una parte integrante di questa struttura di potere. Questo potere economico, più il potere militare strategico, nella misura in cui gli Stati Uniti mirano al dominio del Medio Oriente, rafforzano il potere militare e strategico di Israele. Nel 2003, quando gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iraq, i giornali statunitensi e l’élite filo-israeliana dicevano apertamente che l’attacco all’Iraq era solo l’inizio di una strategia volta a smantellare il Medio Oriente. Dopo l’Iraq, l’Egitto, poi l’Arabia Saudita, ecc. Questa era la visione di allora. Poi la guerra contro l’Iraq è andata male. Questo dimostra che il potere militare vale fino a un certo punto. Gli Stati Uniti, nonostante la loro superpotenza militare e tecnologica, perdono tutte le guerre. Vedendo l’esperienza degli Stati Uniti, possiamo ricordare che anche la potenza israeliana potrebbe avere gli anni contati. Per ora Israele è una parte del super potere globale. Potere che però sta perdendo terreno con l’espansione del potere asiatico. Silvia Cattori: Lei ha studiato questo tema. Conosce la realtà da vicino. Ma per la gente in generale è molto difficile capire che non sono gli arabi il problema, ma la politica conflittuale israeliana. La continua pressione esercitata da Israele contro il programma nucleare civile dell’Iran, è una di queste. Lei crede in un possibile attacco dell’esercito israeliano o di altri, contro siti iraniani? Giorgio S. Frankel: Non ci credo perché Israele ha cominciato a minacciare di attaccare l’Iran all’inizio degli anni ‘90. Sono venti anni che gli israeliani ripetono che attaccheranno l’Iran, che l’Iran sta facendo la bomba atomica, che l’Iran è una minaccia. Ora quando, nella storia, un Paese minaccia di fare la guerra e per venti anni non la fa, non la farà mai. Questa minaccia dell’Iran serve a Israele per mantenere un clima di tensione nel Vicino e Medio Oriente. Minacciando più volte all’anno di far la guerra all’Iran crea una situazione di pericolo negli Stati Uniti e in Europa. La probabilità che Israele attacchi l’Iran è molto bassa. Ma se Israele attaccasse veramente l’Iran, le conseguenze globali sarebbero così catastrofiche che anche se tutti ritengono che la minaccia del governo israeliano sia un bluff, nessuno si sente di andare a vedere se è veramente un bluff. Israele non è in grado di attaccare l’Iran, basta guardare la carta geografica. Deve passare attraverso altri Paesi. Due anni fa, gli Stati Uniti fecero un regalo avvelenato agli israeliani. Dato che Israele parlava del pericolo iraniano, gli Stati Uniti mandarono in Israele una grande postazione radar che controlla il cielo attorno a Israele per centinaia di chilometri. Questa stazione è gestita da militari statunitensi. Fu presentata come un gesto di solidarietà verso Israele. In realtà gli israeliani non sono molto contenti. Perché gli Stati Uniti sanno esattamente cosa fanno gli aerei israeliani. Gli Stati Uniti hanno ripetutamente affermato che non vogliono una guerra contro l’Iran, perché sarebbe una catastrofe. Sono periodi ciclici. Ogni tanto gli israeliani tirano fuori questa carta iraniana. Se ne parla per alcune settimane poi non se ne parla più. Il generale Moshe Yalon, vice primo ministro e ministro per le minacce strategiche, ha detto: il programma nucleare iraniano è in ritardo; quindi abbiamo due o tre anni per prendere una decisione. Questo è un messaggio per indicare che in questo momento non c’è un pericolo iraniano. Questo pericolo serve agli israeliani per mantenere un clima di tensione e costringere gli Stati Uniti e gli europei a fare determinate politiche. Gli israeliani speravano di creare un clima di tensione tale da provocare uno scontro tra Iran e i Paesi arabi. Anche questa strategia è fallita.Quanto tempo hanno impiegato le altre potenze nucleari a farsi la bomba atomica? Gli Stati Uniti negli anni quaranta, quando neanche si sapeva con sicurezza che si potesse fare la bomba atomica, ci hanno messo tre anni. Israele ci ha messo dieci anni. Ora da più di venti anni si dice che l’Iran stia costruendo la bomba. Ma questa è la bomba atomica più lenta della storia. L’agenzia nucleare che deve controllare la bomba atomica, continua a dire che non ci sono indizi per il programma militare.La bomba iraniana serve a Israele per creare problemi strategici nella regione. Il grande timore di Israele è che si apra un dialogo politico fra Stati Uniti e Iran. Dopo di che l’Iran verrebbe riconosciuto come potenza regionale con la quale bisogna parlare e discutere. L’altra potenza regionale che si sta affermando è la Turchia. Ora Israele ha problemi con la Turchia perché potrebbe diventare la principale interlocutrice degli Stati Uniti, del mondo arabo, del mondo islamico.L’altra grande arma di Israele è l’accusa di antisemitismo. È un’arma della quale gli Israeliani fanno un grande e immediato ricorso. Ogni forma di critica di Israele è denunciata come un atto di antisemitismo. All’inizio faceva molto effetto; oggi un po’ meno; prima o poi perderà la sua importanza. Quando si abusa di queste armi esse perdono valore. Israele accusa tutti di antisemitismo. Se è un ebreo che critica Israele, dicono che è un ebreo che odia se stesso. Alla fine anche questo crollerà. Perché l’antisemitismo è una cosa. La critica di Israele è un’altra. Di antisemitismo ce n’è poco al mondo. Se risorge è perché è troppo disgustoso quello che gli israeliani fanno anche nello stabilire identità tra ebraismo e israelismo; questo è un terreno molto scivoloso. Silvia Cattori: Durante questi anni di offensive militari da parte di Tel Aviv, in Francia per esempio, si è assistito a un’intensificazione delle accuse di antisemitismo anche da parte di gruppi di pace ebrea. Accuse di antisemitismo e di negazionismo sono piovute contro giornalisti o militanti che mettono in evidenza l’ideologia che ha portato lo Stato ebreo a condurre politiche inaccettabili, sin dall’inizio (4). Se come lei sottolinea, criticare la politica israeliana non ha nulla a che vedere con il razzismo, chi accusa la gente di antisemitismo cosa vuole ottenere in verità? Giorgio S. Frankel: Il grande errore è quello commesso dalle comunità ebraiche nel mondo in quanto come comunità ebraiche si sentono in diritto di parlare a nome di Israele. Molti ebrei non israeliani pensano di potere, in quanto ebrei, avere il diritto di sostenere Israele. Questo è loro diritto. Però questo comporta che agli ebrei non israeliani prima o poi verrà loro imputato quello che fanno i governi israeliani. D’altra parte quando Israele proclama che vuole essere riconosciuto non solo come Stato ebraico, ma come Stato nazionale del popolo ebraico, questo vuol dire che si chiede, a livello internazionale, che venga a loro riconosciuto una sorta di primato anche nei confronti degli ebrei che stanno negli altri Paesi. Questo diventa molto pericoloso. Silvia Cattori: Perché pericoloso? Giorgio S. Frankel: Pericoloso perché alla fine è possibile che, nel futuro, Israele voglia interferire nella politica interna di altri Paesi col pretesto che quel Paese ha una politica ostile agli ebrei. Chirac rifiutò di partecipare alla guerra contro l’Iraq. Poco tempo dopo il primo ministro Ariel Sharon scatenò una politica ostile alla Francia avvertendo gli ebrei francesi: fate le valigie, andatevene dalla Francia, venite in Israele. In futuro gli israeliani potrebbero comportarsi come se il destino degli ebrei italiani o francesi fossero loro a stabilirlo. Silvia Cattori: Questa arma dell’antisemitismo ha sempre permesso a Israele di mettere i governi che non seguono la linea politica di Tel Aviv sotto pressione. Da anni Israele cerca di spingere il resto del mondo a intensificare la pressione sull’Iran, per isolarlo, sanzionarlo, impedendo un suo normale sviluppo. Secondo lei ci riuscirà? Giorgio S. Frankel: Non ne sono convinto, perché l’Iran finora è protetto dalla Cina e in parte dalla Russia. Ha buoni rapporti con i vicini: Turchia, Iraq e con Paesi come l’Azerbaijan e la Georgia. Ha buoni rapporti con il Pakistan, con l’India, con i Paesi arabi del Golfo, in particolare con il Qatar. Sta estendendo la sua presenza diplomatica in America latina. L’Europa segue questa linea di durezza; ma altri Paesi non la seguono.Gli israeliani conducono questa destabilizzazione interna dell’Iran con attentati, stragi, ecc.; questo probabilmente stanno facendo. Bisogna vedere se ci riescono. Silvia Cattori: Solo Israele e non gli Stati Uniti? (5). Giorgio S. Frankel: Tutti e due. Ma soprattutto gli israeliani. Silvia Cattori: Perché «soprattutto gli israeliani»? Hanno particolari mezzi di penetrazione e manipolazione delle minoranze etniche? Giorgio S. Frankel: Il problema della stabilità dell’Iran è molto complesso. Si può entrare clandestinamente da varie zone. Ci sono popolazioni ostili al governo centrale. Il Kurdistan è la regione più importante per il petrolio. Lì vive una minoranza sunnita. È sufficiente dare loro finanziamenti per l’addestramento e dare armi. Sono operazioni che si chiamano «la guerra dell’ombra». Di possibilità di intervento ce ne sono molte.
Silvia Cattori Fonte > Voltairenet
1) Giorgio S. Frankel, analista di questioni internazionali e giornalista indipendente, si occupa di Medio Oriente e Golfo Persico dall’inizio degli anni Settanta. È l’autore del libro L’Iran e la bomba, DeriveApprodi, Roma, 2010. 2) Il diritto al ritorno è consentito dalla legge; ma inostri governi e partiti politici, come pure i difensori di una «giusta pace», hanno sempre ignorato questo diritto, perché riconoscere ai rifugiati palestinesi il diritto al ritorno costringerebbe Israele a riconoscere le espulsioni del 1948, del 1967, del 2000 e a ammettere che la sua «guerra di indipendenza» è in realtà un crimine. 3) «Opzione Sansone» (così chiamata da dirigenti israeliani traendo ispirazione dalla figura biblica di Sansone, che abbatté un tempio filisteo uccidendo se stesso e centinaia di filistei) suppone che di fronte a una minaccia esistenziale il progetto nucleare di Israele comprenda un attacco nucleare contro le nazioni che lo minacciano. 4) Si veda 1001 bugie su Gilad Atzmon, di Gilad Atzmon, www.bloggersperlapace.net sperlapace.org. 5) Il giornalista Bob Wodford afferma che i servizi della CIA, del Mossad e dell’MI 6, collaborano strettamente per condurre azioni di sabotaggio contro l’Iran. Nel 2009 e 2010 l’Iran ha arrestato diverse spie di origine americana entrate illegalmente, fra le quali una donna che possedeva degli «hidden spying equipment». La Francia conduce una diplomazia aggressiva contro l’Iran da quando, nel 2007, il presidente francese Sarkozy ha parlato della possibilità di bombardare l’Iran. Si ricordi l’appello di Bernard Koucher alle nazioni, per «prepararsi al peggio, alla «guerra» contro l’Iran.
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