Intervista di Sara Venturini a Joe Fallisi, in sciopero della fame
Il Cairo, 8 gennaio
Siamo
nella stanza del ‘Sun Hotel’ del Cairo dove Joe Fallisi, tenore
italiano e attivista per i diritti umani, sta facendo lo sciopero della
fame oramai da 12 giorni in attesa di un lasciapassare delle autorità
egiziane per recarsi nella Striscia Di Gaza.
Joe, so che sei stato in ospedale questa mattina per dei controlli, come sono le tue condizioni fisiche?
Sono
un po’ stanco, però va bene. M’avevano proposto di trattenermi fino a
domani sera in osservazione, ma ho preferito rientrare in albergo e
sentirmi più libero.
Vuoi raccontarmi come è nata l’iniziativa dello sciopero della fame?
Lo
sciopero è iniziato subito il 28 dicembre, il giorno in cui ci siamo
recati al piazzale dove dovevano esserci i bus per Rafah e lo abbiamo
trovato vuoto per ordine e intimidazione del governo egiziano. Alla
proposta dell’ottantacinquenne Hedy Epstein di iniziare uno sciopero
della fame come azione di protesta verso chi finora ci ha negato la
possibilità di entrare a Gaza ed è anche responsabile di tre anni di
assedio della Striscia, vale a dire Egitto e Israele, ho aderito subito.
Ad oggi sei rimasto l’unico a continuare lo sciopero. Cosa ti spinge ancora a farlo?
Durante
uno degli ultimi incontri della Gaza Freedom March ho annunciato
pubblicamente in piazza la mia volontà di terminare lo sciopero solo
nel momento in cui avessi toccato il suolo di Gaza o, se questo non
fosse avvenuto, sull’aereo di ritorno. È una promessa che manterrò.
Quali sono le motivazioni alla base di questa tua coraggiosa scelta? Scioperi per chi e per cosa?
Protestare
per Gaza credo sia particolarmente importante perché la situazione che
vive da troppo tempo la Palestina Occupata e in particolare la
popolazione lungo la Striscia è il punto focale di tutte le ingiustizie
del mondo. E attorno ad essa ruota il destino del mondo. Quel che ha
subito Gaza nei 22 giorni di attacchi unilaterali e assassini
dell’entità sionista (durante i quali, lo ricordo, è stato massacrato
un millesimo della popolazione complessiva – l’equivalente, in Italia:
60.000 individui) e quel che subirà a causa della decisione egiziana di
costruire il muro di ferro per impedire il passaggio di merci, beni e
persone sono gli ultimi atti di un’infamia che oggi non ha eguali.
Dietro
ciò che accade a Gaza ci sono la menzogna, l’iniquità e l’orrore umani.
Menzogna radicale, perché il mondo finge che si tratti di una
situazione di quasi normalità mentre invece non lo è nel modo più
assoluto. Da una parte c’è un esercito che con mezzi militari
ultramoderni e micidiali opera la decimazione progressiva degli
assediati, dall’altra una popolazione che cerca solo di sopravvivere e
di difendersi, senza averne mezzi.
Tale situazione assomiglia
sempre più a quel che i tiranni bolscevico- stalinisti e nazisti hanno
inflitto gli uni all’Ucraina e al Kuban, quando furono sterminati per
fame coatta milioni di contadini, o quando venne assediata Varsavia
dagli altri. In entrambi i casi ci fu uno strangolamento che impedì
qualunque possibilità di fuga, anche allo scopo di affamare a morte e
sfinire la popolazione. Così come avviene oggi a Gaza, con l’aggravante
di attacchi militari bio-ecocidi del tipo di quello dell’anno scorso e
dei prossimi in preparazione.
L’assedio di Gaza si fa ogni
giorno più terribile. Gli abitanti della Striscia non possono neppure
coltivare né pescare perché vengono attaccati ogni giorno.
E
c’’è persino qualcosa di molto peggio degli esempi storici prima
citati. Qui l’esercito dell’occupante sionista utilizza, come ormai è
divenuto usuale, armi che vanno a compromettere le fonti stesse della
vita (la terra, l’aria, l’acqua), in particolare, ma non solo,
attraverso l’uso criminale dell’uranio impoverito. Così che iniziano a
nascere bambini deformi. Inquinano alla radice e per centinaia e
centinaia di anni, se non per sempre, l’intero ciclo vitale e
riproduttivo. Questo è il più grande crimine di guerra: da Hiroshima e
Nagasaki, al Vietnam, ai Balcani, al Libano, alla Palestina, all’Iraq,
all’Afghanistan, al Pakistan. Mai prima l’umanità aveva subito atti
tirannici di questa portata.
Quando calarono i Mongoli fin
dentro all’Europafecero tabula rasa. Ma quando se ne andarono la vita
ritornò. Oggi i nuovi barbari “progressisti” lasciano dietro di sé la
morte radioattiva.
Oltre al bisogno di giustizia per palestinesi, ci sono altre ragioni, personali, che ti legano ai destini del popolo di Gaza?
Ho
raggiunto Gaza due volte, unico cantante lirico al mondo ad aver avuto
la possibilità, il piacere e l’onore di cantare al Teatro Shawa di Gaza
city. Di questo potete trovare testimonianza nei video su youtube dei
miei due concerti. La prima visita risale all’ottobre 2008. Arrivai a
Gaza via mare su ‘Dignity’, col secondo viaggio, vittorioso, di Free
Gaza. La volta successiva fu lo scorso marzo quando entrai dal valico
di Rafah con il convoglio Lifeline promosso da George Galloway. Sono
stato accolto in maniera meravigliosa, come un fratello, e ora i Gazawi
sono i miei fratelli. Farò tutto quel che mi è possibile per aiutarli.
Alla
luce della dura repressione del governo egiziano contro gli attivisti
della Gaza Freedom March ai quali non è stato permesso di entrare a
Gaza, cosa pensi di tale governo?
L’asse del potere
dell’Occidente e del Nord del mondo predone consiste nella triade USA,
Gran Bretagna ed entità-Lobby sionista. Sono loro che decidono gli
assetti mondiali. Decidono chi e cosa è ‘politically correct’ oppure
no, chi può rimanere (al potere) e chi se ne deve andare.
Mubarak
è solo un servo di questo potere più ampio. Le sue azioni sono
finalizzate ad ottenere la garanzia della propria sopravvivenza. La
decisione di costruire un muro, sopra e sotto terra, al confine di
Rafah, distruggendo i tunnel che consentono agli abitanti di Gaza di
sopravvivere, è in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Con
la visita di Netanayahu al Cairo proprio il giorno seguente alla nostra
ipotetica partenza, e in contemporanea con una marcia di pacifisti
israeliani contro l’occupazione, consentire l’accesso a Gaza dei 1.300
internazionali avrebbe significato una svolta, di cui non esiste
nessuna premessa, all’interno del regime egiziano. Nutrivamo false
speranze.
Quando hai deciso di partecipare alla marcia
credevi che questa iniziativa di solidarietà internazionale avrebbe
apportato un qualche cambiamento alla situazione in cui sono costretti
gli abitanti di Gaza?
Gaza ha bisogno di riaprirsi da
tutti i lati al mondo esterno, come è stato per secoli. Noi
internazionali possiamo rappresentare uno stimolo affinché questo
assedio venga rotto.
Sono partito augurandomi di poter
rientrare nella Striscia, portare degli aiuti e tenere un terzo
concerto. Più i giorni passavano, più mi rendevo conto che la nostra
speranza era un’illusione.
Faccio appello alle donne e agli
uomini di buona volontà. Bisogna insorgere dal basso. Il Free Gaza
Movement, così come Viva Palestina, sono l’esempio di iniziative
giuste, coraggiose e fantasiose che vengono dalla base della società
civile. Bisogna attivarsi in prima persona per la causa universale
dell’equità, unire le proprie forze e organizzare iniziative di
solidarietà vera al di fuori di ogni imbrigliamento istituzionale. È
il buon vecchio metodo anarchico che deve tornare attivo. Non
occorrono ‘leaders’, servono uomini e donne con senso della giustizia e
della dignità.
So che hai tentato la via per Al Arish, la città egiziana più vicina al confine con Gaza. Cos’è successo quel giorno?
Ho
cercato, assieme ad altri tre italiani, di raggiungere il confine di
Rafah, passando per Al Arish. Siamo stati respinti al primo posto di
blocco a 100 km dal Cairo. Lì abbiamo visto quello che definisco la
società civile all’opera: vecchiette americane magnifiche che, appena
fatte scendere dal pullman, hanno sventolato in faccia alla polizia
striscioni con su scritto ‘Free Gaza, Free Palestine’. Queste signore
hanno deciso di vivere l’ultima parte della loro vita in modo
dignitoso. Sono mie compagne.
Qual è la tua posizione
in merito alla delegazione dei 100 organizzata dai Codepink con
l’autorizzazione del governo egiziano entrata a Gaza per portare gli
aiuti umanitari?
Gli organizzatori hanno accettato,
poi pentendosene, un compromesso con il governo egiziano mandando
nella Striscia un piccolo drappello di attivisti, scelti dall’alto con
criteri arbitrari. In realtà la delegazione dei 100, che alla fine
erano 40 perché la maggior parte si è rifiutata di partire, è stata
solo un contentino che Mubarak ha usato per cercare di farsi bello. Ma
le frontiere sono rimaste e rimangono sostanzialmente chiuse. È stato
un nostro errore. Hedy Epstein ha scritto un comunicato puntuale e
preciso a questo proposito.
Stai per lasciare il Cairo senza essere entrato a Gaza. Cosa ti porti con te in Italia dopo questa esperienza?
L’unica
cosa veramente positiva è che nel mondo si è parlato del vergognoso
regime di polizia egiziano e della tragica situazione in cui versa la
Striscia di Gaza. E forse in questi giorni di incontri e di scambi si
sono poste anche le basi di un movimento che sappia agire meglio in
futuro.
Tanto di cappello a George Galloway e i suoi valorosi
compagni del convoglio di Viva Palestina: fino all’ultimo hanno lottato
per entrare, subendo scontri, manganellate e arresti, dopo un
incredibile viaggio via terra, via mare e via cielo attraverso l’Europa
e il Medio Oriente. E ci sono riusciti.
Ho visto in questi
giorni all’opera, all’interno della Marcia, tanti meccanismi tipici dei
gruppuscoli. Gente che si parla e rimira allo specchio.
Autoreferenziale. La vecchia politica è morta e non serve alla causa
della giustizia. Me ne tornerò in Italia rinforzato nella mia
convinzione che bisogna voltare definitivamente pagina.
Ho
scritto finora cinque canzoni per Gaza e per la Palestina, una,
‘Verrà’, è già incisa. Appena torno registrerò anche le altre: ‘Gaza
vivrà’, ‘Lifeline’, ‘Oh Madre Palestina’, ‘Fino all’ultimo
giorno-respiro’.
Il ritornello di quest’ultima dice: “son pochi
gli anni da vivere che noi abbiam. Difenderò i miei fratelli fino
all’ultimo giorno-respiro che il ciel mi darà”.
Fonte > InfoPal