Il Pericolo Clima sull’Economia e la Finanza
Vincenzo Caccioppoli
10 Ottobre 2008
Su un mercato finanziario vicino ormai al collasso si potrebbe presto scatenare un’ altra turbolenza, nel senso letterale del termine, che forse non è ancora stata ben considerata ma che potrebbe, secondo alcuni, dare un definitivo colpo da Ko: stiamo parlando delle problematiche legate ai cambiamenti climatici, provocati dal riscaldamento globale.
I mercati finanziari, infatti, non sono ancora preparati a gestire l’impatto delle variazioni estreme del clima, i cui disastrosi effetti sembrano destinati a diventare sempre più frequenti e sempre più virulenti, come l’ultimo terribile ciclone Ike abbattutosi con violenza sulle coste del Texas ha dimostrato. Molti pensano a questo pericolo solo perché legato alle pesanti ripercussioni che hanno le catastrofi sulle assicurazioni ( i cui risarcimenti sul tema sono passati dai 3,9 miliardi di dollari nel 1970 ai 23 miliardi di dollari del 2000 fino ai 108 miliardi del 2005 ed agli oltre 150 del 2006 ).
Ma non è cosi, anche se secondo gli esperti di Kpmg, che hanno realizzato una ricerca sul tema, sono sei i settori principalmente a rischio e cioè: energia, trasporti, aviazione, turismo, sanità e finanza. Tutte le aree del business dovrebbero, però, riconsiderare le proprie attività nell’ottica della sostenibilità ambientale poiché le aziende che non rispetteranno i nuovi parametri saranno seriamente compromesse.
Questo grido di allarme proviene da Michael Huges, ceo della Baring Asset Managment, secondo il quale questa area non ancora “ prezzata” potrebbe presto portare a profondi sconvolgimenti sui mercati finanziari, già provati da un terribile crisi del credito una possibile economica, tassi inflattivi e tensioni geopolitiche internazionali.
Parlando ad una conferenza di settore a Londra, il gestore ha avvertito che fenomeni come uragani, inondazioni e siccità potrebbero provocare degli scossoni brutali nelle quotazioni delle materie prime, settore già da tempo in forte tensione, oltre al rialzo generalizzato dei costi di assicurazione, che rappresentano già ora uno dei grossi problemi per la crescita economica per il suo alto potenziale inflattivo sui costi di produzione, alimentando ancora di più la paura di un risveglio ulteriore di quella che sembra essere diventato un vero e proprio spauracchio delle banche centrali mondiali.
Il fatto stesso che i cataclismi siano imprevedibili pone il problema per i governi di non inserirli nelle proprie leggi finanziarie, provocando perciò una sottovalutazione della spesa pubblica. Il grido d’allarme del gestore della Baring, che fa capo a MassMutual Financial Group e gestiva prima della crisi finanziaria, un patrimonio di circa 21 miliardi di sterline, fa il paio con la preoccupazione delle compagnie verso questa componente del cambio climatico.
Molte compagnie internazionali, infatti, hanno cominciato una politica di attenzione verso i fattori inquinanti, che possono provocare squilibri nell’atmosfera e di conseguenza provocare cambiamenti climatici improvvisi e pericolosi. News Corps, Hsbc, Swiss Re, Goldman Sachs, da tempo hanno annunciato la loro adesione alla campagna ecologista, dichiarandosi contro l’emissione eccessiva di gas nell’atmosfera (la cosiddetta “carbon – neutral”, essendo il diossido di carbone uno dei principali colpevole dei cambiamenti climatici).
Di recente il colosso americano Wal Mart ha annunciato una serie di politiche ecologiste, come l’utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale.La stessa General Electric ha lanciato una campagna denominata “ Ecomagination” per tagliare l’emissione di gas inquinanti e per l’utilizzo di tecnologie “pulite”. Ma di fronte a questi esempi ci sono compagnie come Exxon Mobil, General Motors e Ford che invece continuano nella loro politica inquinante.
Questa improvvisa rinascita dell’ecologismo anche tra i grandi big dell’economia americana, accusata da sempre di essere l’artefice della metà dell’inquinamento del pianeta, nascerebbe propria dalla consapevolezza che i cambi climatici rappresentano un grave rischio per l’economia oltrechè per la salute dei cittadini.
Una recente inchiesta nota col nome di “ Carbon Down, profits Up”condotta da un organizzazione ambientalista, Climate Group, fondata nel 2004, che ha raccolto i dati di 74 industrie da 11 paesi diversi che hanno utilizzato politiche di tagli alle emissioni di gas inquinanti, alcune, come Bt, Ibm, Dupont e Norske Canada sono arrivate a riduzioni di più del 60%, hanno ottenuto risparmi per circa 11,6 miliardi di dollari.
Proprio per questo alcune compagnie, come Bp, hanno fiutato il business e hanno cominciato a pensare alla realizzazioni di centrali elettriche ad energia rinnovabile. General Eletrics che già si occupa di questo pensa di aumentare i propri guadagni dallo sviluppo delle tecnologie ecologiche che fornisce all’industria, a 20 miliardi di dollari entro il 2010.
Sempre secondo le risultanze dello studio della agenzia governativa no profits, Climate Group la Gran Bretagna ha ridotto le emissioni di Co2 nell’aria del 15% rispetto al 1990, ottenendo così risparmi per 650 milioni di sterline all’anno dal 1998 al 2006. La Germania, invece, attraverso l’adozione e la promozione di politiche energetiche rinnovabili e pulite ha creato 450.000 nuovi posti di lavoro.
La differenza tra l’adottare questo tipo di accorgimenti per una energia più pulita è notevole, non solo dal punto di vista dell’impatto ambientale ma anche da quello strettamente economico e finanziario, perché secondo quanto asserisce Kpgm se le aziende intraprenderanno azioni per la sostenibilità ambientale del proprio business (con un investimento stimato pari a 200 miliardi di dollari entro il 2030), il cambiamento climatico potrebbe costare fino all’1% del Pil globale; in caso contrario, il costo potrebbe ammontare al 5% del Pil. E in un momento di crisi come questo, questi dati dovrebbero ancora di più spaventare i grandi potenti del mondo.
Vincenzo Caccioppoli