Il padre delle bugie
Antiwar.com
31 Luglio 2008
Il primo storico, il greco della Ionia Erodoto, pur noto come “il padre della storia”, fu anche chiamato “il padre delle bugie” a causa della sua riluttanza a sciupare con la verità una buona storia. Allo stesso modo i neoconservatori di oggi piegano la storia perché si adatti alla loro agenda politica.
Victor Davis Hanson, lo storico di casa della National Review nonché favorito di Dick Cheney, ha lasciato l’insegnamento e si è ritagliato una nuova carriera come santone capace di modificare qualunque evento storico in modo che si adatti all’attuale guerra all’Islam ed alla “esportazione della democrazia”, altrimenti detta cambio di regime.
Il suo pasticcio sulla Guerra del Peloponneso, nel quale egli paragona una Atene “onnipossente” all’America contemporanea (dimenticando peraltro che l’arroganza Ateniese perse la guerra contro gli sgradevoli Spartani), è completamente umoristico. Similarmente i fratelli Kagan racchiudono il proprio sostegno all’impegno senza fine in Iraq e ad una politica bellicosa contro l’Iran, in una cornice storica, come se essere capaci di menzionare il capo dello staff di Napoleone mentre lodano il generale David Petraeus in qualche modo possa innalzare quest’ultimo.
Ma quando si arriva a riscrivere il passato, in confronto agli israeliani, i neocon americani sono dei novellini. Israele ha da lungo tempo finanziato grandi progetti archeologici volti a enfatizzare la presenza ebrea in Palestina, minimizzando allo stesso tempo, o talvolta persino negando, la presenza di altre genti nella regione, in un tentativo di dimostrare che gli ebrei hanno una legittimazione storica che manca agli abitanti arabi. Per anni Israele ha avuto e promosso una mitologia storica ufficiale della creazione (dello stato d’Israele, N.d.T.) che alternativamente considera la Palestina come ampiamente spopolata nel 1948 o volontariamente abbandonata dagli abitanti Arabi.
Solo di recente gli storici israeliani hanno cominciato a descrivere come, in effetti, gli arabi siano stati oggetto di una deliberata politica terroristica dei fondatori d’Israele che, alla fine, li ha cacciati fuori dalle proprie case.
Uno dei primi storici israeliani ad ammettere che Israele abbia cacciato gli arabi dalla propria terra è stato Benny Morris, un professore di Storia Medio-orientale all’Università Ben-Gurion. Peraltro Morris non ritiene che sia stato male uccidere altra gente e prendersi la loro proprietà.
Rimpiange soltanto che tutti gli arabi non siano stati scacciati nel 1948; infatti nel 2004 consigliava che quelli rimasti fossero trattati come animali, quando scriveva: “Bisogna che si costruisca per essi qualcosa come una gabbia… C’è un animale qui che deve essere rinchiuso a qualunque costo.”
A dispetto di vedute sugli arabi e sui mussulmani che la maggior parte della gente considererebbe estremiste, a Morris è stato fornito, da parte del New York Times, un pulpito eccezionale per incitare gli Stati Uniti ad attaccare l’Iran prima che Israele sia obbligato a lanciare un attacco nucleare preventivo che trasformerebbe quel paese con i suoi ottanta milioni di abitanti in un “deserto nucleare”.
E’ per certo la prima volta che gli editori di uno dei maggiori quotidiani americani hanno dato tanto spazio a qualcuno che predica apertamente l’omicidio di massa.
L'editoriale di Morris del 18 luglio, dal titolo accattivante ed ossimoro "Usare le bombe per evitare la guerra", farebbe onore a Erodoto perché è un'ottima storia, anche se completamente priva di fatti, materia peraltro spesso ignorata dagli editori del New York Times.
Morris, che per essere un topo di biblioteca è eccezionalmente truculento, può essere oppure no un ottimo esempio di ciò che in Israele viene gabellato per studio accurato, ma certamente non ha affatto interesse a mostrare alcuna comprensione verso gli iraniani.
Egli argomenta che l'Iran deve essere attaccato, che Israele quasi certamente lo farà entro i prossimi quattro/sette mesi, e che non sarà colpa di Israele, dato che il resto del mondo non ha fatto ciò che era giusto.
Secondo Morris attaccare il programma nucleare iraniano potrebbe portare la pace e, non facendolo, questo porterebbe inevitabilmente Israele a lanciare un attacco nucleare preventivo al fine di risolvere il problema definitivamente, che sarebbe il peggior risultato.
Dato che Morris ha stretti collegamenti col governo israeliano il suo scenario apocalittico deve essere preso sul serio, persino se può essere un bluff o una deliberata disinformazione.
Avendo avvertito di quello che potrebbe accadere, l'intento del suo articolo è chiaramente quello di spaventare il resto del mondo per convincerlo a fare il lavoro sporco in modo tale che Israele non sia obbligato ad agire.
Chiaramente gli Stati Uniti sono l'unico paese che può compiere tale missione in maniera completa, senza usare armi nucleari.
Questo ovviamente rende l'articolo di Morris una violenta chiamata alle armi da parte di una Israele predominante affinché gli USA diano il via ad ancora un'altra guerra per conto d'Israele, perché Israele si sente minacciata. Ha un suono familiare, non vi pare?
La premessa inespressa del violento vaneggiamento di Morris è la pretesa che, in quanto ad armamenti nucleari, in Medio Oriente ci si possa fidare solo di Israele e che Israele abbia il diritto di agire preventivamente ove qualunque altro stato avesse la temerità di cercare di ottenerne di proprie.
Se da un lato questa è la formula che garantirebbe la supremazia regionale di Israele, dall'altro è una politica decisamente lontana dal rassicurare i vicini di Israele, la maggior parte dei quali si trovano dalla parte di quelli che rischiano di provare sulla propria pelle l'arroganza israeliana di poter colpire dove e quando vuole.
Essere le vittime di un paranoico regime israeliano è la virtuale garanzia che il paese che si trovasse ad essere attaccato cercherà a tutti i costi di procurarsi "armi di distruzione di massa" che facciano da deterrente contro tali attacchi, ironicamente ottenendo il risultato opposto di minore piuttosto che maggior sicurezza per gli israeliani.
Per sostenere la sua tesi Morris commette molti errori di fatti. Nella sua prima affermazione egli sostiene la tesi dell'attacco all'Iran per ritardare il "programma di produzione", verosimilmente dando per scontato che Teheran stia facendo qualcosa, ovviamente un'arma.
Successivamente ritorna allo stesso linguaggio quando afferma che "l'Iran sta accelerando i propri sforzi per produrre la bomba che può distruggere Israele." Il testo suggerisce che sia un fatto ben documentato che esiste un programma iraniano di armamenti in continuo divenire, finalizzato alla distruzione di Israele.
NON E' COSI'. Non c'è alcuna prova di fatto che l'Iran stia attualmente producendo alcunché, se non nelle menti dei politici e dei sapientoni israeliani o anche di John Bolton, che ha espressamente raccomandato, sul Wall Street Journal del 15 luglio, che "dovremmo considerare accuratamente quale cooperazione gli USA dovranno dare ad Israele prima, durante e dopo un attacco all'Iran."
Morris pretende inoltre che "tutti i servizi segreti del mondo ritengono che l'Iran sia "sulla strada di farsi le armi (nucleari)."
Molti servizi potrebbero anche ammettere che è sempre possibile che ci sia un programma segreto iraniano di armamenti nucleari, ma anche che non c'è alcuna prova di fatto a sostegno di tale visione e che il solo studio serio sull'argomento, nella Valutazione Nazionale della CIA per il 2007, concludeva che lo studio di fattibilità era stato cancellato nel 2003.
Morris poi va oltre affermando che "i servizi occidentali sono d'accordo che l'Iran raggiungerà il punto di non ritorno verso la capacità di produrre armi nucleari in un periodo compreso fra uno e quattro anni."
No, Benny, non è affatto vero: solo gli israeliani pretendono che l'Iran stia innegabilmente cercando di ottenere armi nucleari e che sarà in grado di padroneggiare le tecnologie ed i processi produttivi in un periodo da uno a quattro anni. Tutti gli altri ritengono che ci vorrà molto di più persino se l'Iran dovesse prendere la decisione politica di procurarsi tali armamenti e decidesse di enfatizzare ed accelerare il proprio programma. E questo eventuale sforzo sarebbe quasi certamente vanificato da sanzioni che metterebbero fuori gioco qualsiasi tabella di marcia.
Secondo Morris Israele è minacciato "quasi quotidianamente di distruzione da parte dei leaders iraniani", ma questa è soltanto una falsità, e da ciò conclude che c'è soltanto un modo di trattare con l'Iran, "un attacco aereo da parte degli USA o di Israele", comodamente ignorando che c'è anche un'opzione diplomatica che potrebbe effettivamente avere successo, se gli Stati Uniti la perseguissero in maniera seria.
Inoltre non fa alcun credito all'Iran della capacità di comportarsi razionalmente, pretendendo che c'è "una forma mentis di auto-immolazione fondamentalista dei mullah che governano l'Iran".
Afferma inoltre che essi "useranno verosimilmente qualunque bomba costruiranno, per via della loro ideologia". Come storico, seppure scarso, dovrebbe sapere di più.
Non c'è alcuna indicazione che l'Iran sia propenso al suicidio. Il regime degli ayatollah è ben noto per il suo pragmatismo e per la poca propensione a correre rischi non necessari, esattamente all'opposto del messaggio che Morris sta cercando di mandare al pubblico americano.
Dopo aver ammesso che l'Iran non crollerebbe in seguito ad un eventuale attacco, e che potrebbe persino reagire, Morris afferma che Hamas e Hezbollah sarebbero coinvolti e che l'Iran potrebbe "attivare la rete terroristica mussulmana internazionale" contro Israele, contro obiettivi ebrei e anche contro gli Stati Uniti.
Questo è il classico lavoro neocon, utilizzato per suggerire che gli USA hanno un interesse vitale a distruggere l'Iran perché Teheran sponsorizza "il terrorismo internazionale", collegandolo, nella mente del pubblico, all'11 settembre. Ciò implica che l'Iran abbia legami con gruppi come Al-Qaeda, cosa di cui non vi è evidenza di alcun genere e anche che Teheran controlli tali gruppi.
Non è altro che una replica della vecchia linea di pensiero di Doug Feith, che collegava Saddam Hussein a Osama Bin Laden.
Ci si sarebbe aspettato che un intelligentone come Benny se ne venisse fuori con qualcosa di meglio.
Persino il lettore filo-israeliano medio del New York Times sembra poco convinto. Sei lettere su sette, in risposta all'articolo di Morris nell'edizione a stampa del 21 luglio, hanno contestato sia le prove che pretende di addurre sia le sue conclusioni relativamente a quella che dovrebbe essere una risposta appropriata all'Iran.
Philip Giraldi
Tradotto per EFFEDIEFFE.com da Arrigo de Angeli
Fonte > Antiwar.com