Il culto della Presidenza
Antiwar.com
17 Giugno 2008
Letture nell’Età dell’Impero
La libertà americana sta morendo. Per anni il processo è stato di lento strangolamento, mentre Congressi e presidenti uno dopo l’altro, di entrambi i partiti, espandevano il potere governativo. Invero i repubblicani, di solito, hanno stretto il cappio un po’ meno rapidamente ma il risultato finale è stato sempre lo stesso: un costoso e sempre crescente stato sociale e di guerra.
Ahimè, entrambi i partiti si sono coalizzati per dare una piega pericolosa alla crescita dell’autorità governativa. In tempo di guerra è stata una costante: Abraham Lincoln, Woodrow Wilson e Franklin D. Roosevelt si sono tutti serviti della pretesa necessità di guerra per giustificare l’enorme espansione non soltanto dei poteri loro attribuiti dal Congresso ma anche la loro supposta autorità unilaterale. Nell’ultimo secolo i presidenti Democratici hanno guidato la marcia verso l’esaltazione dell’esecutivo ma adesso il partito Repubblicano, mentre da un lato chiacchiera all’infinito di libertà individuale e di governo limitato, dall’altro sostiene che il presidente è un re eletto democraticamente.
L’adorazione dei repubblicani verso il potere esecutivo unilaterale ha raggiunto l’acme con l’amministrazione Bush. Parlando seriamente il presidente G. W. Bush afferma di avere il diritto di ignorare la Costituzione in patria per tutto il tempo in cui saremo in guerra, il che significa per sempre dato che la “guerra al terrorismo” non ha alcun ovvio termine e viene combattuta in tutto il mondo, inclusi gli USA.
In effetti, fino ad ora, il presidente Bush non ha esercitato completamente questi poteri straordinari che, come è logico, gli danno anche il potere di sciogliere la Corte Suprema e di rinviare il Congresso per interferenza nel suo tentativo di proteggere l’America dal terrorismo.
Ma se il presidente può definire “combattente nemico” qualunque cittadino americano, arrestato in America, e farlo tenere in arresto dalle autorità militari senza il diritto e la possibilità di difendersi, senza accesso per anni ad alcuna forma di tutela legale, c’è niente altro che il presidente non possa fare?
Gene Healy, uno studioso del Cato Institute, traccia le origini della crescita del potere esecutivo nel suo nuovo libro “Il Culto della Presidenza”.
La storia che ci racconta è straordinaria, e straordinariamente importante, analizzando il ruolo del presidente così come concepito dai fondatori della nazione e paragonandolo a ciò che è oggi. Healy introduce l’argomento con un’affermazione dell’ex governatore dell’Arkansas Michael Huckabee che “l’America ha bisogno di una leadership positiva ed ottimista per rinnovare questo paese, per assistere alla rinascita della nostra anima nazionale.” Non, badate bene, di restaurare le nostre libertà e le limitazioni di potere al nostro governo; e neppure di riformare i programmi pubblici per renderli adatti ai pressanti bisogni sociali. Solo far rivivere l’anima dell’America.
Healy si chiede che tipo di crisi Huckabee proponga come soluzione. Più seriamente domanda: “Per quale incarico Huckabee crede di competere? Far rivivere l’anima dell’America fa parte del profilo lavorativo? E se far rivivere l’anima nazionale fa parte del compito del presidente, che cosa non lo è?
La risposta, conclude Healy, non è granché, e fra i candidati presidenziali sia Democratici che Repubblicani soltanto il deputato Ron Paul, l’iconoclasta candidato repubblicano alla presidenza, riteneva che il suo ruolo fosse quello di esercitare completamente i limitati poteri assegnati dalla Costituzione, piuttosto che consolare e sollevare 300 milioni di americani.
Il punto nodale è che, quali che siano le differenze di parte fra i due maggiori partiti - e il confronto è diventato sempre più aspro - c’è in realtà ben poco disaccordo nel considerare il presidente come pastore nazionale, consigliere, filantropo, dirigente economico, simbolo, angelo custode, psicoanalista, investitore, leader globale, voce popolare e raddrizzatore di tutti i torti.
Scrive Healy: “Molti fra quegli stessi che condannano la crescente concentrazione di potere nell’esecutivo al tempo stesso accettano una visione virtualmente illimitata della responsabilità presidenziale. Oggi la politica è altrettanto conflittualmente bi-partisan come lo è stata nei tre decenni precedenti, e la presidenza Bush si trova al centro dello scontro. Ma in mezzo a tutta questa conflittualità è facile non accorgersi che, in fondo a tutto, la Destra e la Sinistra concordano sulla illimitata natura della responsabilità presidenziale.”
Naturalmente non è questo il tipo di governo previsto dai Padri Fondatori. I politici ed i sapienti della Destra lodano per abitudine la brillantezza e la preveggenza di coloro che progettarono la Costituzione, ma nessuno di questi ultimi riconoscerebbe l’attuale governo come frutto delle loro fatiche, per non dire come risultato logico. Resterebbero stupiti e inorriditi da questo mostro in cui si è trasformato il loro originario sistema di governo di pochi e ben definiti poteri. E i Padri Fondatori sarebbero particolarmente spaventati dal fatto che il presidente di oggi è ben più potente, e quindi ben più pericoloso, del re di due secoli fa contro cui si erano ribellati.
Healy ci fornisce un ottimo sommario delle istituzioni di governo così come erano state originariamente previste nella Costituzione. E’ particolarmente efficace nello sbarazzarsi di quelle che definisce “eresie unitarie”, il concetto bizzarro, accettato oggi da molti conservatori, che in realtà i Fondatori intendevano assegnare al presidente poteri monarchici. (Certo gli “unitari”, come scherzosamente Healy li chiama, preferiscono non esprimersi in tal modo; ma come altro si dovrebbe definire l’autorità di scatenare una guerra, arrestare cittadini, abrogare diritti costituzionali, torturare sospetti oppositori, ignorare il potere legislativo e molto altro?)
Se questa specie di teoria “unitaria” fosse stata proposta a suo tempo la Costituzione non avrebbe permesso che fosse ratificata dalla convenzione costituzionale, e men che meno ratificata dagli stati.
Il primo grande assalto ideologico al governo costituzionale fu portato dalla sinistra, notabilmente dai Progressisti, di cui Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson sono stati due esponenti. Il primo un convinto imperialista, il secondo un razzista messianico, ed entrambi ampliarono il loro potere sia in pace che in guerra: Wilson portò l’America nella Prima Guerra Mondiale, una guerra assolutamente non necessaria, che non aveva alcuna attinenza con gli interessi americani e che culminò nell’ingiusto ed insostenibile Trattato di Versailles che, solo una generazione dopo, condusse logicamente ad un altro conflitto, il peggiore in tutta la storia del genere umano.
Seguirono due presidenze “normali”, quella di Warren Harding e di Calvin Coolidge. Ma Herbert Hoover fu solo un piccolo dirigente economico e un intrigante, che può sembrare conservatore solo a paragone di Franklin D. Roosevelt, che diede inizio alla cosiddetta era della “presidenza eroica”.
Come spiega Healy: “Già molto prima della guerra era evidente che sempre più americani vedevano il presidente come un aiuto personale in un modo che sarebbe apparso bizzarro, quando non disonorevole, ai loro padri ed ai loro nonni. Prima dell’avvento della presidenza moderna ben pochi americani si sarebbero preoccupati di scrivere al presidente che, dopo tutto, era soltanto un lontano funzionario a Washington, con compiti che solo raramente avevano un impatto diretto sulla gente comune. La presidenza rivoluzionaria di F. D. Roosevelt cambiò completamente le cose.”
Healy conduce il lettore attraverso una successione di presidenti dai quali ci si attendeva che facessero tanto di più che in passato: avviare programmi legislativi, mantenere prospera l’America, dare voce alle preoccupazioni comuni, ed essere guida del mondo. Questa crescita di aspettativa incoraggiò i presidenti a sollecitare sempre maggiore autorità. Per esempio Holmes Baldridge, il Procuratore Generale del presidente Harry Truman fece la sorprendente affermazione che mentre la Costituzione limitava l’autorità del potere legislativo e di quello giudiziario, non faceva altrettanto per il potere esecutivo, intendendo con ciò che il presidente: “ha il potere di intraprendere tutte le iniziative che si rendano necessarie” in caso di emergenza ed in questioni di grande importanza che avrebbero bisogno di potere illimitato. Certamente, almeno nel fare affermazioni decisamente stravaganti riguardo all’autorità presidenziale, George W. Bush è la reincarnazione di Harry Truman.
La “Presidenza Eroica” soffrì due volte sotto Nixon e sotto Carter. Il Congresso riguadagnò parte dell’autorità che aveva perso, facendo arrabbiare i conservatori dei poteri esecutivi illimitati, come Richard Cheney che, nel 1984, lamentò che nel decennio precedente i legislatori avevano tentato “di limitare i futuri presidenti in modo che non potessero abusare del proprio potere nello stesso modo in cui si riteneva che fosse accaduto in passato,” che implica che il Congresso aveva fallito “nell’aiutare i presidenti ad aumentare il potere della Casa Bianca in modo che potesse ottenere buoni risultati nella società.” Una volta di più questa è retorica che ci si aspetterebbe dalla Sinistra.
La piroetta politica fu straordinaria: i conservatori che combattevano contro le pretese politiche di Franklin Roosevelt e di Lyndon Johnson. Il candidato presidenziale del 1964, senatore Barry Goldwater, lamentò che “Se mai c’è stata una filosofia di governo totalmente in conflitto con quella dei Padri Fondatori, “ questa era “l’attuale venerazione dei potentissimi funzionari esecutivi.”
Ma quando i Repubblicani conquistarono la presidenza, pur disperando di riuscire mai a conquistare la Camera dei Rappresentanti, molti di essi, come Richard Cheney, decisero che il potere esecutivo rappresentava effettivamente la maggiore fonte di potere costituzionale.
Una misura significativa di questa filosofia è l’interminabile lamentela dei crescenti livelli di sfiducia nel governo. Perché ciò è male? Osserva Healy: “Non è mai stato chiaro perché una sana sfiducia (ampiamente giustificata negli anni ’70) in un potere non controllato debba esser causa di tanta ansia. In fin dei conti questo tipo di sfiducia è il nocciolo della nostra eredità politica.” Purtroppo, la marea montante di sfiducia popolare nei confronti del governo, egli osserva: “ha funzionato come autorizzazione alla presidenza. Questa fiducia ingiustificata ha permesso lo spionaggio illimitato in patria e il disastroso avventurismo presidenziale all’estero.”
Ma, nota Healy, persino il risorgere del dubbio circa la presidenza esaltata non sembra essere abbastanza dato che gli americani hanno “smodate aspettative verso quella carica”. Infatti, mentre da un lato infinite bugie, unite a straordinaria incompetenza, hanno amareggiato il pubblico circa il modo in cui dovrebbe comportarsi un presidente e quali risultati dovrebbe presumibilmente ottenere, ciò nonostante gli americani sembrano tuttora volere che “il capo” guidi l’America ed il mondo.
Il concetto di un presidente “Superman” riaffiorò straordinariamente forte dopo l’11/9.Se mai c’è stato il desiderio di una voce nazionale fu allora. La gente comune voleva essere rassicurata, i falchi liberali si unirono agli estremisti neo-conservatori nel chiedere una crociata internazionale; i capetti repubblicani videro l’opportunità di guadagni politici, e i politici democratici volevano evitare a tutti i costi la responsabilità. Il risultato è stato la catastrofe a nota a tutti come la presidenza Bush.
Healy presenta una storia dettagliata della straordinaria, incredibilmente pericolosa, presa di potere volta a scoraggiare l’indagine dei fatti. Solo pochi eroi emergono: appare evidente che i guardiani della libertà del popolo sono incredibilmente pochi. Sotto l’amministrazione repubblicana praticamente il Congresso non ha avuto alcuna responsabilità, rendendosi acquiescente ad ogni successiva presa di potere dell’amministrazione Bush.
Il nuovo Congresso controllato dai democratici è solo di poco migliore del precedente, avendo evitato di affrontare l’amministrazione ogni volta che questa arraffava più potere.
Persino oggi, quando il presidente asserisce di avere poteri virtualmente illimitati ed uno dei suoi teorici, il professore di legge John Yoo, afferma che l’unica verifica di legittimità del potere presidenziale è “perché il presidente ritiene di aver bisogno di fare” qualcosa, ancor oggi un serio controllo da parte del Congresso è completamente assente.
E ciò nonostante è ancor più deprimente l’analisi di Healy su “perché i peggiori giungano al vertice… e divengano ancora peggiori.” Uno dei problemi deriva dal fatto che fra i fattori necessari ad ottenere la presidenza, la fedeltà alla Costituzione non è tipicamente uno di questi. Un altro problema è ciò che il potere fa ai suoi detentori.
Come assistente di livello intermedio alla Casa Bianca anche io ho goduto di alte retribuzioni e status che facevano pensare ad un diritto ed un dovere a “governare”. Il presidente vive una vita realmente esaltante, che fa pensare alla “vita di corte”, come suggerisce Healy: “c’è di che corrompere il giudizio anche della persona più equilibrata e meglio intenzionata.”
Healy enfatizza come il problema non sia specifico di George W. Bush. L’attuale presidente ha ben altre colpe, “Ma difficilmente possiamo considerare George W. Bush il primo presidente intossicato dal potere e distaccato dalla realtà. Quale che sia il comportamento disfunzionale che Bush ha manifestato, impallidisce comunque a paragone di quello dei presidenti del passato,” scrive ancora Healy.
L’America ha un disperato bisogno di tornare ad una presidenza “normale”, argomenta Healy, ma come ottenere ciò, come minimo non è chiaro. Ci sono troppe parti in movimento nell’attuale sistema politico e soltanto poche sono rivolte a controllare il potere esecutivo. Il più grande ostacolo al successo è il fatto che il pubblico sembra gradire l’attuale presidenza, pur non sempre apprezzando lo specifico occupante.
Come fa notare Healy, abbiamo disperatamente bisogno di un presidente “che sia abbastanza audace da agire quando necessario e, pure, abbastanza saggio, abbastanza umile da rifiutare poteri che non dovrebbe avere.” Ahimé, avverte Healy, il popolo americano “non otterrà quel tipo di presidenza finché tutti non lo chiederemo.”
Doug Bandow
Tradotto per EFFEDIEFFE.com da Arrigo de Angeli
AntiWar.com (13 giugno)