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Grido dal Sinodo: l’Onu tuteli la libertà religiosa
Avvenire.it
17 Ottobre 2010
Un forte appello alla libertà religiosa in Medio Oriente e in tutto il mondo. E poi l’invito a promuovere risoluzioni delle Nazioni Unite non solo contro l’islamofobia in Occidente, ma anche contro la cristianofobia nel mondo islamico. Li ha formulati al Sinodo il cardinale Peter Turkson, ghanese, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace.
Nel suo discorso di giovedì pomeriggio, il porporato africano ha detto che «occorrerebbe, prima di tutto, ribadire il fatto che la libertà religiosa autentica include la libertà di predicare e di convertire». Il che implica la libertà «di un credente di formare, vivere e annunciare la sua esperienza religiosa, senza coercizione dello Stato, ma con la possibilità di contribuire alla costruzione dell’ordine sociale». «Quindi – ha spiegato Turkson – le Chiese e le religioni di minoranza in Medio Oriente non devono subire discriminazione, violenza, propaganda diffamatoria anti-cristiana, la negazione di permessi di costruire edifici di culto e di organizzare funzioni pubbliche».
Il porporato ha poi auspicato che «la promozione delle risoluzioni contro la diffamazione delle religioni nel quadro dell’Onu, non deve limitarsi all’islam (islamofobia) nel mondo occidentale». «Essa – ha aggiunto – deve includere il cristianesimo, la cristianofobia verso la religione e le comunità dei credenti, nel mondo islamico». Quindi l’auspicio: «Si può pure promuovere l’adozione, sempre nel quadro dell’Onu, di una risoluzione sulla libertà religiosa come alternativa alla risoluzione sulla diffamazione delle religioni».
Il presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace è intervenuto anche su un altro argomento ripetutamente evocato al Sinodo: quello dell’emigrazione dei cristiani autoctoni dal Medio Oriente e la contemporanea immigrazione in alcune aree della regione di altri cristiani provenienti dall’Asia o dall’Africa. Riguardo a questi ultimi, Turkson ha parlato del «tema del lavoro decente per i lavoratori domestici, che sono prevalentemente donne», ricordando come in questi casi si debbano coniugare «esigenze legate al rispetto della dignità umana, dei diritti umani e diritti dei lavoratori nonché esigenze legate al rispetto del credo religioso».
Sul tema della fuga dei cristiani dal Medio Oriente, è intervenuto ieri il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, il quale ha ribadito che, per quanto riguarda la Terra Santa, questo esodo è dovuto al conflitto arabo-israeliano e più specificatamente all’occupazione dei territori palestinesi. «Da 62 anni viviamo una situazione di conflitto: sono troppi», ha spiegato il patriarca. «Mi pare – ha proseguito – che ci sia una chiara volontà per gestire il conflitto, non per risolverlo». E ha aggiunto: «Quel che chiedo ai responsabili politici, e in modo speciale a quelli israeliani, è aiutarci ad avere una vita normale, a potere andare a lavorare, a potere, come parroci, andare con i nostri parrocchiani a visitare i luoghi santi». I leader impegnati nelle trattative «facciano dunque passi coraggiosi». I «muri di separazione», innalzati a dividere Israele dai Territori dell’autonomia palestinese sono, ha detto Twal, il «segno visibile del muro che è nel cuore dell’uomo, della paura, dell’ignoranza, dell’indifferenza dell’altro».
«Questo è il muro che innanzitutto deve cadere», ha sottolineato il patriarca. Twal ha ribadito i suoi ringraziamenti alla Chiesa italiana per l’aiuto fornito alle comunità cristiane di Terra Santa, anche attraverso i pellegrinaggi che sono un sostegno alla presenza cristiana e consentono anche di aiutare l’economia della zona. Gli ha fatto eco, nel suo intervento in aula, il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana, membro sinodale di nomina pontificia, che ha sottolineato l’«attenzione veramente grande nelle nostre Chiese italiane verso i luoghi santi», evidenziando come «nei soli primi sei mesi del 2010 sono partiti 1.600.000 pellegrini diretti in Terra Santa».
Un altro argomento che è stato più volte toccato in queste giornate da non pochi padri sinodali riguarda l’assistenza spirituale ai cattolici mediorientali della diaspora (che costituiscono buona parte dei circa sette milioni di cristiani originari di quelle terre sparsi nel mondo). In pratica viene chiesto, come ha spiegato l’esarca per i cattolici di rito bizantino in Grecia, il giurista Dimitrios Salachas, di «salvaguardare e garantire a questi fedeli l’osservanza del proprio rito, cioè la propria liturgia e disciplina canonica, e provvedere a creare quelle strutture ecclesiali canoniche previste anche dal Codice latino come, ad esempio, l’erezione di parrocchie personali». D’altra parte il rappresentante della Chiesa siro-malabarese, Bosco Puthur, vescovo ausiliare di Ernakulam-Angamaly in India, ha chiesto che i fedeli del suo rito, ormai numerosi (430mila) nella Penisola arabica, possano essere seguiti direttamente da sacerdoti della propria Chiesa sui iuris, superando un "rescritto" della Santa Sede che finora lo ha impedito.
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