Gioco delle parti fra Usa e Israele
Panorama
25 Luglio 2009
Per una volta la Nirenstein dice la verità
In apparenza i due paesi sono lontani anni luce. In realtà fra Washington e Gerusalemme è in corso una complessa partita diplomatica per fermare l'Iran e ridisegnare il Medio Oriente.
Da lontano Israele e la nuova amministrazione americana sembrano in continuo scontro. Il grande dice al piccolo: lascia gli insediamenti. Il piccolo al grande: invece di giocherellare con la politica della mano tesa, attento all'Iran nucleare. Ma il gioco Usa-Israele è complesso, anche perché il nucleare di Mahmoud Ahmadinejad è ormai alle porte e il governo degli ayatollah ha mostrato con la spietata repressione di non avere da parte sorrisi neanche per Barack Obama, che pure vuole dialogare.
Notizie riservate mostrano all'orizzonte una visita del segretario della Difesa americano Robert Gates in Israele agli inizi della prossima settimana. Solo pochi giorni fa Gates ha detto all'Economie club di Chicago: «L'Iran mi preoccupa più di ogni altra cosa perché non vedo uno scenario in cui si trovino opzioni positive. La mancanza di ottimismo non è solo legata alla sua scelta nucleare, ma anche alla incapacità della comunità intemazionale di influenzare la determinazione a portarla a termine». Il programma di Gates in Israele è soprattutto, possiamo arguire, la discussione sull'Iran. Ma attenzione: con lui agli incontri di massimo livello parteciperà (fatto di non piccolo significato) l'inviato del presidente Obama per il Medio Oriente George Mitchell.
Mitchell è in realtà il responsabile dei rapporti fra israeliani e palestinesi e quindi degli eventuali sviluppi di un processo di pace. In pratica, Mitchell sta cercando di spingere Israele, ultimamente premendo sul ministro della Difesa Ehud Barak incontrato a Londra, a congelare ogni costruzione negli insediamenti. Per contro Mitchell sta cercando qualche tangibile segnale da parte dei paesi arabi moderati perché Israele si senta rassicurato e proceda verso la trattativa con Abu Mazen.
Va detto per inciso che il presidente palestinese, persino dopo il famoso discorso di Benjamin Netanyahu che ha aperto, cambiando strada, alla prospettiva di «due stati per due popoli», ha risposto in maniera sorprendentemente chiusa e sgarbata. Ma, palestinesi a parte, perché Gates, che vuole parlare soprattutto di Iran, va agli incontri insieme a Mitchell, che vuole invece parlare del processo di pace?
Prima di tutto, questo avviene dopo che il sottomarino Dolphin, che può portare armi atomiche, e due navi da guerra dotate di missili Saar hanno fatto un loro passaggio nel Canale di Suez verso il Mar Rosso: una ben notata passerella internazionale, impensabile per la marina israeliana senza che gli egiziani, che hanno ostentato un «no comment» anche ai massimi livelli, lo consentano e senza che venga attribuito a questo movimento un significato strategico antiraniano da parte sunnita moderata, oltre che israeliana.
Ma la risposta più aggiornata alla domanda la troviamo sul Times, che parla di un accordo offerto a Israele da «alcune nazioni occidentali» che consentirebbe allo stato ebraico di attaccare l'Iran con l'appoggio europeo, sempre che fosse pronto a concessioni sostanziali verso i palestinesi in modo da creare le condizioni per la pace.
Gates con Mitchell e il gabinetto israeliano potrebbero cominciare a disegnare la scena alle prossime riunioni. I paesi sunniti moderati, che già da tempo temono la politica espansionistica e atomica di Ahmadinejad, non ostacolerebbero l'impresa, anzi. Gli Usa sanno bene che di questo tutto il mondo discute, e la sensazione è di nuovo che l'incontro di Gates e Mitchell con i leader israeliani, così rilevante da fare impallidire quello di Netanyahu con Obama due mesi or sono, sia anche il bastone che la Casa Bianca tiene seminascosto dietro la schiena mentre invita l'Iran a parlare entro settembre.
FIAMMA NIRENSTEIN
Fonte > Panorama | Luglio 2009