Non c’è niente. Almeno su questo tutti nel Pdl sono d’accordo. Nelle carte arrivate alla Camera per ottenere l’autorizzazione a perquisire l’ufficio di Giuseppe Spinelli, cassiere di casa Berlusconi, non c’è nulla di penalmente rilevante. E si mostrano tutti piuttosto tranquilli e sereni che oltre lo sputtanamento non ci possa essere nulla di nulla.
Cosa c'è sotto? Il punto è: che altro c'è? Quali sono le altre carte in mano alla procura di Milano? Per esempio, è chiaro che il telefonino della consigliere regionale del Pdl Nicole Minetti è stato intercettato per mesi. In quel periodo Nicole ha parlato spesso con Berlusconi. Quelle registrazioni non sono per il momento utilizzabili perché il premier è anche deputato e dunque è necessaria richiedere l'autorizzazione all'utilizzo così come è necessario il voto della Camera anche per entrare nell'ufficio di Spinelli. Prima o poi spunteranno fuori anche quelle.
Perché l'antimafia? Ma il punto sul quale gli uomini del premier si stanno arrovellando da giorni sono altri. E gli interrogativi inquietanti. Il fondamentale dei quali è, appunto, che altro c'è nell'inchiesta milanese? C'è un altro filone? Stanno per piovere accuse sul capo del governo ancora più pesanti? Per essere più precisi: perché indaga l'Antimafia? L'inchiesta infatti porta la firma di tre magistrati. Uno è Ilda Boccassini, capo della procura distrettuale antimafia di Milano; un altro è Antonio Sangermano, anche lui specializzato in reati della criminalità organizzata. Che c'entrano loro due se l'indagine fin qui è stata per concussione (che riguarda la pubblica amministrazione) e sfruttamento della prostituzione?
Il blitz contro la 'ndrangheta. La Boccasini era salita agli onori delle cronache nel luglio scorso per una megaoperazione contro la 'ndrangheta che ha portato a circa 300 arresti, la gran parte dei quali in Lombardia. Operazione che venne elogiata anche dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, il processo che ne è scaturito comincerà a breve. La politica venne solo lambita: sarebbero stati convogliati voti - a sua insaputa - su Giancarlo Abelli (Pdl), che non è indagato.
La battuta del Cav. A legare la mafia al caso Ruby, tuttavia, fu lo stesso Silvio Berlusconi lo scorso 4 novembre: «Nessuno può negare che alcune delle cose che accadono siano una vendetta della malavita». Come spesso accade, le cose che dice il Cavaliere vengono prese alla leggera. E così Roberto Benigni nel corso di una puntata di «Vieni via con me», il programma di Roberto Saviano (in cui si era parlato dell'indagine della Boccassini sulla mafia al Nord), ci scherzò su: «Berlusconi ha detto che la vicenda è stata una vendetta dalla mafia. La mafia una volta ti ammazzava, ora invece ti manda due escort in bagno... Io ho il terrore di questo». Poi, rivolto ai mafiosi disse: «Siete delle bestie, vendicatevi di me, fate schifo: vi fornisco l'indirizzo del mio albergo a Milano».
Arcore intercettata un anno. C'è poi un altro interrogativo. Perché viene controllata la villa di Arcore? Le forze dell'ordine e la magistratura si occupano di Ruby la sera del 27 maggio 2010. La ragazza ha conosciuto il premier soltanto il 14 febbraio precedente. E allora perché gli investigatori hanno acceso i fari di villa San Martino da almeno un mese prima, ovvero da gennaio 2010? Perché stanno agganciati alla cella telefonica di Arcore dall'inizio dell'anno e tramite i cellulari seguono chi entra ed esce dalla residenza privata del premier? Perché? Chi stanno "seguendo"? Un mafioso? È questa la prossima accusa che si sta per scagliare sul premier? E cioé che a casa sua incontrava boss della mafia?
I rapporti di Lele. L'Espresso oggi in edicola rivela in poche righe un elemento significativo: «Risulta che in alcune informative sugli affari delle cosche calabresi venga citato più volte il nome di Lele Mora, forse l'anello di congiunzione tra l'inchiesta sulle serate allegre di Berlusconi e quelle sulla 'ndrangheta al Nord». Forse Silvio gli avrà chiesto qualcosa nel lungo incontro che hanno avuto il 4 gennaio scorso. O forse hanno parlato solo di soldi. Quel che appare sempre più chiaro è che i magistrati stessero lavorando a un filone diverso. Per caso si imbattono sulla vicenda della marocchina che partecipava alle feste di Arcore. La concussione, la prostituzione appaiono come uno stralcio, come un episodio di un'attività d'indagine ben più corposo. Almeno ne sono convinti gli uomini più stretti della cerchia del Cavaliere.
A caccia della droga. In effetti, c'è un altro elemento che fa riflettere. Nel corso delle perquisizioni, gli agenti hanno requisito effetti personali delle ragazze che si trovavano in via Ogliettina a Milano, negli appartamenti di Berlusconi. Anche perquisizione corporali, anche nelle parti intime. Di solito operazioni di questo genere si eseguono quando si è a caccia di droga. Perché si cerca la cocaina? Perché i poliziotti pensano di trovare droga in quegli appartamenti sebbene nelle intercettazioni non se ne parla mai? Si sa pure che Berlusconi non tollera neppure che si fumi una sigaretta, figuriamoci se possa consentire l'uso di stupefacenti a casa sua. I pm sono convinti del contrario? O sono certi che alcune di queste prostitute finite a casa del premier fossero in realtà in contatto se non stabilmente all'intero di organizzazioni criminali, dedite al traffico di droga? Non sono domande campate in aria o semplice dietrologia. Sono gli interrogativi che si stanno ponendo i più stretti collaboratori del premier nel tentativo di comprendere quale sarà la prossima partita con i magistrati.
Sospetti sulla polizia. Per questo c'è un altro interrogativo che ci si sta ponendo. E riguarda la Polizia. Nell'operazione di spionaggio di Arcore pare siano stati utilizzati 230 agenti. È impossibile, ragiona un esponente del Pdl, che con un tale spiegamento di forze il capo della Polizia, Antonio Manganelli, non sapesse nulla di nulla. Si aggiungono anche dubbi riguardo ai servizi segreti, coordinati da Gianni De Gennaro, che pure hanno fatto sapere di non aver avuto alcuna notizia sull'indagine della Boccassini. Nulla di nulla sebbene il capo centro di Milano sia un appartenente alla Polizia. Ma Gianni Letta ha fermato tutti: Manganelli e De Gennaro non si discutono. E se lo dice Letta ci si può mettere la mano sul fuoco.
Sicurezza scoperta. Ma qui si apre uno scenario più inquietante. Può anche essere accaduto che un mafioso si sia infilato nella macchina di qualche prostituta e "travestito" da autista si sia introdotto nella casa del premier. Non dovrebbe succedere, è chiaro. Ma forse è accaduto. Se ciò fosse è altamente probabile che quella persona poco raccomandabile fosse intercettato, che ci fosse un uomo delle forze dell'ordine che lo stesse ascoltando, che lo stesse seguendo attraverso gli spostamenti del suo cellulare, che avesse compreso che stava per andare a casa del premier. E che nonostante tutto ciò, nonostante cioé la sicurezza del presidente del Consiglio potesse esser esposta a un rischio, nessuno abbia nulla. Una falla tanto clamorosa che non può essersi verificata.
Fonte > Il Tempo