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Così è affondato il sedicente capo
Marcello Veneziani
07 Settembre 2010
Dopo sedici anni di immersione subacquea negli abissi del berlusconismo, Fini riemerge a pelo d’acqua e dice: preferisco la montagna. O Gianfranco, non te ne sei accorto prima che non ti piaceva nulla di Berlusconi e del suo piglio da monarca, che (...)
(...) detesti tutto della maggioranza in cui sei stato eletto presidente della Camera, dal partito-azienda al presidenzialismo, dalla legge elettorale alla tua legge sull’immigrazione, dal pacchetto giustizia alla scuola e al fisco? E, dopo aver coabitato per sedici anni ventimila leghe sotto i mari, scopri ora che la Lega tira troppo per il Nord e poco per l’Italia? Ma va, non te n’eri mai accorto che Bossi non era propriamente un patriota risorgimentale, un romanesco verace e un sudista convinto? E con che stomaco citi ora la destra che hai demolito in tutte le sue versioni?
Come prevedevo facilmente alla vigilia del discorso di Mirabello, Fini ha rotto gli indugi e ha detto con fermezza che vuol tenere il piede in due staffe. Fate schifo, amici, alleati e camerati di una vita - ha detto -, il partito non esiste, ma io resto con voi. Esempio mirabile di finambolismo, variante sleale del funambolismo. Soffermiamoci su quattro passaggi chiave.
1) Il pdl non esiste. Lo penso anch’io, che da tempo traduco Pdl in Partito del Leader, aggiungendo però che Pd è Partito del e non si sa di cosa. Il partito non esiste, però esiste un leader, esiste un governo ed esiste un grande popolo di centrodestra. Non esiste una leadership del partito che faccia da pendant al premier, è vero, ma questa carenza riguarda chi avrebbe dovuto occupare quello spazio: a cominciare dal cofondatore, Fini, che è sparito per anni e ora si riaffaccia alla politica. Non s’è visto nel Pdl l’accenno di un contenuto, di una linea, di una strategia culturale e politica che andasse al di là di Berlusconi. Ma se il Pdl è niente, come dice Fini, immaginate cosa sarà una particella ribelle del niente, denominata Fli? Se il Pdl non esiste, ci può essere la scissione dal nulla?
2) Il governo sotto schiaffo. L’Italia sognava da una vita un governo di legislatura in grado di governare e decidere. E questa volta ce l’aveva. Ma Fini ci offre di tornare alla concertazione, al ricattuccio permanente, alla mediazione di partiti e partitini. E dire che la destra aveva costruito la sua fortuna sul presidenzialismo e sul capo del governo decisionista. Ora Fini diventa il megafono della vecchia Italia che vuole governi deboli, poteri forti e convergenze larghe. Perciò piace ad avversari, procure, circoli di stampa e gruppi di affari. Il governo indebolito, sotto schiaffo, è una manna per loro.
3) Fini sogna una legge elettorale che sancisca la fine del bipolarismo. Se Fini fosse davvero il leader del futuro direbbe: la legge che abbiamo voluto, me compreso, offende la sovranità popolare, ridiamo agli italiani la possibilità di decidere gli eletti con preferenze o uninominale. Ma aggiungendo: però salviamo la governabilità e il rafforzamento dell’esecutivo, col premio di maggioranza e poi magari con l’elezione diretta del premier o del capo dello Stato. Invece no, Fini chiede di poter sfasciare il bipolarismo e restituire il Paese agli aghi della bilancia, ai terzisti e ai giochini di palazzo.
4) Infine, la destra. A Mirabello è davvero rinata An, come dice Maroni, è sorta un’altra destra, come scrive la Repubblica che si commuove perfino a sentir citare Almirante da Fini (che lo ha tradito trentatré volte)? No, la furbata di portarsi il santino nipotino di Tatarella e il santone fascistone di Tremaglia, di arruffianarsi la vecchia base con un paio di citazioni del vecchio repertorio missino, non sono la destra. E tanto meno sono la destra moderna, nuova e futurista di cui si eccitano i finiani.
E poi «le radici della destra» non sono a Mirabello, come ha detto Fini. Sarebbe davvero poca roba una destra con quelle radici lì, così corte e contorte. No, le radici della destra sono in luoghi, storie, opere, pensieri, tradizioni che non si possono ridurre alla piccola storia del finianesimo, nel suo viaggio tra le rovine, dal Msi ad An, dal grande nulla del Pdl al piccolo nulla del Fli. La destra è un popolo e non una setta, è una cultura e non una citazione rubata, è un disegno civile e politico e non una carriera personale, è una comunità e non una musica da Camera, un progetto di riforma dello Stato e non una riforma elettorale per sfasciare un governo e scroccare un partito. E chi è di destra nutre amor patrio, cioè amore dei padri, mica dei cognati.
Trovo ridicolo il titolo del Corsera: «A Mirabello Gianfranco batte Almirante» notando che la folla di domenica era maggiore di quella dei tempi di Almirante. Ma per forza, quella missina era la festa innocua di un piccolo partito ai margini della politica, questo è un evento mediatico e politico che ha riflessi sul governo e sul Paese. Anche Bruto, se avesse fatto una conferenza stampa dopo aver pugnalato Cesare, avrebbe avuto il pienone.
A proposito di titoli, ne ho trovato sul medesimo giornale un altro, favoloso e stucchevole: «Elisabetta e quel bacio dal palco: sono qui per lui»; ma per chi volete che fosse la Tulliani a Mirabello, per Donato La Morte, per i tortelli di zucca? Questo per dire che era stata una facile profezia la ola in favore di Fini dei grandi giornali: saranno anche loro asserviti a qualcuno come i tg e i giornali berlusconiani deprecati dal medesimo Fini? Ma no, ma che dite... Dopo Mirabello il bilancio dell’operazione finiana è il seguente: un governo e un partito azzoppati, elezioni alle porte, una destra decapitata e spaccata che piace così ridotta solo agli avversari. Complimenti. Un vero leader.
Marcello Veneziani
Fonte > Il Giornale
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