Come leggere il No dell’Irlanda
Corriere del Ticino
18 Giugno 2008
La scorsa settimana gli elettori irlandesi con chiara maggioranza hanno rifiutato di ratificare il trattato di Lisbona dell’UE che dovrebbe sostituire il progetto di costituzione, a suo tempo condannato dal voto popolare di Francia e Olanda.
Due le immediate reazioni degli ambienti ufficiali di Bruxelles e degli eurofili di diverse nazionalità. Mancanza di comunicazione e, l’Irlanda ha detto no, ma altri diciotto paesi hanno già detto sì. Reazioni speciose, faziose e anche offensive per gli elettori irlandesi.
Mancanza di comunicazione. È la solita solfa, i votanti sono una banda di persone rozze ed impreparate ai quali non si è riusciti a spiegare bene l’essenza della proposta, altrimenti avrebbero votato sì. Smettiamola con queste finzioni, o peggio arroganza, in virtù della quale i cittadini sono intelligenti, hanno capito e fanno il proprio interesse solo se votano come vogliono i governanti. Il popolo ha spesso una capacità di sintesi nel suo buon senso, come lo dimostrano plurime votazioni in Svizzera, che talvolta manca ai governanti. Ancor più arrogante e oltretutto scorretta è l’obiezione dell’Irlanda che vota no contro altri 18 paesi che (finora) hanno approvato. Si dimentica di dire che in questi altri 18 paesi la ratifica è stata data dai parlamenti e non dal popolo. Si dimentica che quando il popolo è stato chiamato a votare in Francia, in Olanda, in Irlanda, in Danimarca, in Svezia (per l’Euro) ha, con un’eccezione, sempre votato negativamente.
Il fatto che dinanzi a queste ripetute sconfessioni politici e burocrati di Bruxelles si rifugino monotonamente nella scusa pretestuosa delle mancate sufficienti spiegazioni o nel fatto che altri paesi (ma con il voto dei politici) abbiano dato l’approvazione, dà la misura di quanto ampio sia il baratro di incomprensione tra coloro che sarebbero gli europei e chi li governa.
Vi è poi chi non manca di dire che gli irlandesi sono 4 milioni e l’UE ha quasi un mezzo miliardo di abitanti, chi sottolinea che un solo no non basta, che in fondo si potrebbe (come già fatto con il trattato di Nizza) obbligare gli irlandesi a rifare la votazione sperando che rinsaviscano, chi propone di continuare mettendo in un angolo (punendola) l’Irlanda, insomma un’UE di 26 più 1.
Il tutto condito da delicati commenti sui miliardi che l’Irlanda ha ricevuto dai fondi UE e le hanno permesso di passare da paese tra i più poveri a paese dove l’economia fiorisce e dispensa benessere. A questo proposito Bruxelles forse sarebbe più lieta se gli irlandesi avessero fatto cattivo uso dei finanziamenti e necessitassero oggi ancora di venir sussidiati. Carità pelosa per sudditi obbedienti.
Sono solo 4 milioni gli irlandesi, ma sono gli unici che hanno votato. E poi era prevista, data l’importanza del trattato, l’unanimità. Siccome qualcuno non vota come si vuole, diciamo di aver scherzato e l’unanimità non è più necessaria? Ma non si era detto che per il trattato nell’UE tutti i piccoli e grandi avevano – giustamente – uguali diritti? Anche questo non vale più: se il no viene dalla Germania o dalla Francia se ne tiene conto, se viene da un piccolo stato membro (istruttiva lezione per noi svizzeri) non ha alcun peso né influenza? Essendo stato il risultato negativo per la dirigenza dell’UE, la votazione (come purtroppo già fatto) va ripetuta sino a quando si ottiene l’approvazione?
E se avessero vinto i sì, qualcuno avrebbe potuto chiedere la ripetizione nella speranza che in seconda battuta vincessero i no? Ma che democrazia è quella nella quale se non si vota come vogliono i governanti lo stato che dissente rischia punizioni e ritorsioni? (Il pensiero corre alle minacce di rappresaglia verso la Svizzera).
Non sarebbe meglio dopo questa ulteriore lezione, invece di ricorrere a tanti arzigogoli ed ipocrisie se Germania, Francia ed altri si chiedessero, tra l’altro, se forse molti degli irlandesi che hanno votato no temevano (a giusta ragione) che la loro aliquota fiscale del 12,5% venisse minacciata dagli zeloti dell’armonizzazione (verso l’alto) delle imposte.
L’occasione sarebbe ideale per un vero ripensamento di un’Europa effettivamente federalista (non centralista) dove i piccoli vengono rispettati come rispettate vengono le specificità e le particolarità che sono il risultato della decantazione di una storia affascinante di secoli nei quali genio e sangue, il «cogito ergo sum» e feroci bestiali degradazioni si sono scontrate, dove la stimolante concorrenza dei sistemi non viene mortificata da ottusità centraliste.
Ma forse i politici eurofili pensano che tutte le grandi idee si scontrano con l’incomprensione del popolo ignorante, e che è dovere dei pochi eletti di condurre le masse. Era il credo di un certo Vladimir Ilyich Lenin, sarebbe meglio non dimenticarlo.
Fonte > Corriere del Ticino (17 giugno)