Argentina vicina ad un nuovo default?
Vincenzo Caccioppoli
23 Ottobre 2008
Analogie pericolose tra passato e presente
Questa terribile crisi finanziaria, dopo aver mietuto molte vittime fra gli istituti finanziari e bancari di mezzo mondo sta cominciando ad intaccare in modo serio e preoccupante l’economia reale e quindi anche la situazione debitoria di alcuni paesi soprattutto. Islanda, Ungheria, Turchia, Romania ed Ucraina hanno chiesto aiuto al FMI affinchè la situazione non possa peggiorare, mentre ora il rischio si sposta verso un economia emergente quale l’Argentina, che sembra poter tornare agli incubi passati vissuti durante la crisi del 2002.
Il presidente di centro-sinistra dell'Argentina, Cristina Fernandez, ha firmato Martedi,,un progetto di legge di riforma che prevede la nazionalizzazione del sistema pensionistico privato da 30 miliardi di dollari. L'intervento, inaspettato e audace, ha scosso i mercati nazionali mandando in caduta libera le quotazioni dei titoli azionari e dei bond argentini.
I leader politici e legislatori del partito peronista al governo e alcuni gruppi dell'opposizione hanno approvato il provvedimento di nazionalizzazione, indicandolo come un intervento teso a garantire le pensioni in un periodo di turbolenza finanziaria globale.
Secondo i critici, invece, il governo sta mettendo le mani sui fondi pensione saccheggiandoli in vista in una Finanziaria pesante, che dovrà trovare miliardi di dollari per far fronte ai propri impegni finanziari, ma il presidente ha ribattuto dicendo che i saccheggiatori sono invece gli amministratori dei fondi pensione privati. Il Congresso, controllato dagli alleati della Fernandez, dovrà discutere della misura la prossima settimana."L'esperimento fallito" dei fondi pensione privati è finito, ha detto Amado Boudou, il direttore dell Anses, l'istituto di previdenza sociale del governo che rileverà le pensioni, nel corso di un cerimonia con il presidente Fernandez.
La riforma ha colto di sorpresa gli amministratori di dieci fondi pensioni argentini, conosciuti come Afjp e un'associaziaone del settore ha negato le asserzioni del governo sulle cattive performance dei fondi."Il sistema Afjp è un solido meccanismo che può essere perfezionato, che ha avuto all'incirca un trend di crescita costante nei 14 anni di esistenza", ha affermato Sebastian Palla, presidente dell'Unione argentina degli amministratori delle pensioni e pensionamenti.
Ma ripercorrendo un attimo quello che è stato il percorso del paese che in pochi anni lo ha portato a dichiarare default, con grave danno anche per migliaia di risparmiatori italiani che si sono ritrovati in mano bond argentina, piazzati in maniera quantomeno ardimentoso da alcuni istituti bancari nostrani, si notano alcune pericolose analogie con la crisi attuale e con le cure che le autorità internazionali stanno adottando per “aggiustare”alcuni pericolosi squilibri del sistema.
L'Argentina è stata per anni additata come l'esempio da seguire in termini di liberalizzazione dell'economia, privatizzazioni, risanamento dei conti pubblici, sistema monetario, tutto sembrava procedere a gonfie vele, ma come nel caso dei mutui subprime e del sistema creato fittizziamente dagli speculatori di Wall Street, anche per l’argentina il castello di carta è crollato nel Dicembre 2001 quando il Fondo monetario internazionale si è rifiutato di concedere un prestito da 1,3 miliardi di dollari per il servizio del debito estero accumulato dal paese che ammontava a ben 142 miliardi di dollari. La fase dell’esplosione del debito estero come dato permanente della situazione argentina risale alla dittatura militare del 1976-83.
I principali ingredienti allora furono gli acquisti di armamenti e l’indebitamento privato. L’importanza dei meccanismi privatistici nell’esplosione dell’indebitamento estero si nota nel fatto che dal 1991, anno in cui viene varato il peso a un cambio paritetico con il dollaro, la componente privata del debito è aumentata di circa 12 volte mentre – in un contesto in cui il governo finisce comunque per farsi carico anche della componente privata – l’espansione della componente pubblica è inferiore al 60%.
In poche parole avviene quello che secondo alcuni sarebbe o potrebbe accadere anche in Usa con il famigerato piano Paulson, e cioè lo Stato si accolla – direttamente e indirettamente - il debito estero privato ( nello specifico del piano di salvataggio Usa e in parte anche quello in Europa, quello delle Banche) il settore privato continua a indebitarsi, lo stato svende le sue attività privatizzandole – generando rendite per le società private - e fa gravare sull’intera economia l’impossibile pagamento del debito tagliando le spese sociali e gli investimenti pubblici.
L’arrivo del peronista Carlos Menem al potere nel 1989 ha segnato una drastica rottura con il populismo giustizialista di Peron, caratterizzato da una notevole espansione della spesa sociale sullo stile del suo grande ispiratore Ronald Reagan, con cui sembra avesse un particolare legame affettivo, penalizzando la grande proprietà agraria esportatrice, vera ricchezza del paese anche oggi, che si concludeva generalmente con una crisi ciclica della bilancia dei pagamenti Le riforme di Menem, il cui atteggiamento molto liberal e molto glamour si scontrava con la realtà di un paese in cui le diseguaglianze si ripercuotono ancora oggi su un livello di vita medio che è fra più bassi di tutto il Sudamerica, ricevettero il pieno appoggio da parte di Washington, che in qualche modo, in un clima perverso di piena euforia di finanza creativa e speculativa, poteva essere interessato anche ad alimentare il debito estero argentino.
I capitali esteri, infatti, affluirono in abbondanza e la conseguente espansione monetaria interna produsse per il periodo 1991-‘95 un ritmo di crescita medio annuo di oltre il 4%, tra i più alti dal dopoguerra. L’euforia economica era però basata su un alto tasso di importazioni indotto dall’alto valore relativo del peso che comportò la perdita di ogni controllo sulla bilancia dei pagamenti corrente. La pesante rivalutazione del dollaro sullo yen e sul marco, avvenuto nella seconda meta degli anni novanta e soprattutto la crisi brasiliana, misero il paese di fronte alle profonde contraddizioni interne della sua debolissima e incerta economia reale e lo spogliò della sua illusione di sana crescita economica, che era invece solo frutto di speculazione e contabilità fittizzia.
Altro elemento fondamentale nella crisi argentina lo giocò una vera e propria offensiva degli agenti finanziari internazionali e nazionali, (soprattutto targati Usa), che cercarono di consolidare il proprio potere e spostare le entrate a loro favore. Il settore finanziario mondiale ( già altamente drogato), guidato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e integrato dal Fondo Monetario internazionale, e dalle banche multinazionali, condizionarono l’economia di molti paesi in quegli anni, tra cui appunto l’Argentina.
Adesso la situazione argentina, malgrado il tasso di crescita sia ancora abbastanza elevato, malgrado un leggero rallentamento nei primi mesi del 2008, resta a forte rischio proprio per il suo elevato livello del debito estero. A questo proposito basti considerare che la media dei credit default swap (la prossima possibile pericolosissima falla del sistema finanziario mondiale) nel caso dello stato argentino, è schizzata dai 200 punti base di Gennaio agli attuali 591 (1 basis point = 0,01%).
In pratica per assicurarsi contro l’insolvenza di 10 milioni di dollari a inizio anno bastava pagare 200 mila dollari, oggi ce ne vogliono 591 mila quasi il triplo. E dopo la famigerata questione dei tango bond, che il governo in pratica ha deciso di non rimborsare, quasi nessuno è più disposto a comprare titoli del tesoro argentino.
La situazione perciò è molto delicato, anche perchè ampi strati della popolazione, in primis i produttori agricoli, che come detto sono l’ossatura dell’economia argentina, sono in forte agitazione, proprio come accadde prima del default del 2002 ecco perchè le ombre del passato ritornano pericolosamente a fare la loro comparsa sul paese del tango. E questo dovrebbe fare molta più paura all’economia mondiale nel suo complesso che il default del 2002, in piena bolla speculativa, quando a pagare furono solo pochi ignari risparmiatori.
Vincenzo Caccioppoli per EFFEDIEFFE.com