IL CAIRO - Migliaia di persone scendono nuovamente in piazza, sfidando i divieti del regime. E l'esercito promette di non usare le armi per reprimere le proteste. «Le forze armate non useranno la violenza contro i cittadini, ma mettono in guardia contro atti che possano minacciare la sicurezza dello Stato», hanno affermato le forze armate in un comunicato diramato dalla tv di stato egiziana. Le forze armate giudicano anzi «legittime» le rivendicazioni del popolo egiziano che protesta da una settimana contro il governo. «La libertà d'espressione - hanno specificato - è garantita per tutti unicamente con mezzi pacifici». Martedì è in programma lo sciopero generale e la «marcia del milione» al Cairo.
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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu (Ap) |
IL FRONTE DIPLOMATICO - Nel frattempo, arriva direttamente da Bruxelles un appello alle autorità egiziane perché spianino la strada allo svolgimento di «libere e giuste elezioni». La richiesta dei capi delle diplomazie dei Ventisette, riuniti nel Consiglio Affari esteri dell'Ue, specificata in una dichiarazione comune, segue quella avanzata da Israele agli Stati Uniti e ad alcuni Paesi europei affinché venga sostenuto il presidente Hosni Mubarak e il suo governo, duramente contestati da un vasto movimento di piazza.
«TRANSIZIONE ORDINATA» - I capi delle diplomazie dei Ventisette chiedono con urgenza alle autorità del Cairo di «intraprendere una transizione ordinata verso un governo con base ampia, che conduca a un processo di riforme democratiche, con il pieno rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, che spiani la strada a elezioni libere ed eque». La formula così approvata permette di superare l'impasse sul punto più controverso, ovvero l'opportunità di lanciare un appello affinché si svolgano presto delle elezioni nel Paese. Su questo punto, e sull'atteggiamento nei confronti del presidente Hosni Mubarak, Gran Bretagna e Francia, e anche l'Italia, secondo fonti Ue, erano sulle posizioni di Washington (andare alle elezioni, e se Mubarak perde se ne va), mentre la Germania e altri Paesi erano meno disposti a favorire questa via d'uscita per il presidente, puntando piuttosto su una soluzione «tunisina» (ovvero l'uscita di scena di Mubarak, come reclama a gran voce la rivolta). I tedeschi, fra l'altro, non volevano dare l'impressione di dettare «dall'esterno» la soluzione delle elezioni agli egiziani. Il testo approvato, pur menzionando le elezioni, le pone come punto d'arrivo di un percorso, più o meno lungo, di transizione democratica.
ISRAELE - Secondo quanto riferito dal quotidiano Haaretz, i responsabili israeliani sottolineano invece che è «interesse dell'Occidente» e di «tutto il Medio Oriente mantenere la stabilità del regime in Egitto». «Occorre di conseguenza mettere un freno alle critiche pubbliche contro il presidente Hosni Mubarak», si sottolinea nel messaggio inviato dalle autorità israeliane alla fine della scorsa settimana.
L'INIZIATIVA - La radio militare, che ha ripreso questa informazione di Haaretz, ha riferito che questa iniziativa rappresenta una dura critica agli Stati Uniti e ai paesi europei che non sostengono più il governo del presidente Mubarak. Un portavoce del primo ministro Benjamin Netanyahu si è rifiutato di commentare la notizia. Fino ad oggi la leadership israeliana ha adottato un profilo basso a proposito delle manifestazioni in Egitto contro Mubarak. Il premier dello Stato ebraico ha ordinato ai suoi ministri di astenersi dal fare dichiarazioni.
OBAMA - Prima il Segretario di Stato, Hillary Clinton, e dopo Barack Obama hanno, di fatto, dato il benservito a Mubarak. Il presidente americano ha chiamato alcuni leader stranieri sostenendo che in Egitto serve «una transizione ordinata verso un governo che risponda alle aspirazioni del popolo». A chiedere un «governo di transizione» era stata tutta l'opposizione, compresi i potenti Fratelli Musulmani, che ha delegato a Mohamed ElBaradei il compito di negoziarla. L'ex capo dell'Aiea, rientrato da vienna in Egitto per guidare politicamente la protesta, sembra aver avuto successo nell'unificare il fronte della dissidenza: «Non torneremo indietro, Per l'Egitto si apre una nuova era», ha detto, parlando in piazza. L'opposizione egiziana negozierà la transizione non con il presidente Hosni Mubarak ma con l'esercito, ha poi dichiarato Ayman Nour, dissidente storico e oggi esponente di spicco della protesta. L'esercito «deve scegliere» tra l'Egitto e il rais, affermano da giorni i manifestanti, e, secondo il Sunday Times, il neo vice presidente egiziano, il generale Omar Suleiman, e il ministro della Difesa, Mohammed Tantawi, hanno chiesto a Mubarak di dimettersi, prospettandogli una soluzione «rispettabile», che salvaguardi, quantomeno, i frutti di un potere personale costruito in trent'anni di presidenza.
GHEDDAFI - Chi si tiene in stretto contatto con il presidente egiziano Hosni Mubarak è il leader libico Muhammar Gheddafi: domenica il colonnello libico ha fatto la terza telefonata da quando è scoppiata la rivolta al Presidente egiziano. Sia la Jana, l'agenzia di stampa libica, che Oea, il quotidiano riformista online, nel darne notizia non riportano però il contenuto delle conversazioni. Intanto la Libia ha attivato domenica un ponte aereo fra Tripoli e il Cairo per permettere ai suoi cittadini residenti in Egitto di rientrare in patria malgrado le difficoltà all'aeroporto della capitale egiziana. Le due società aeree libiche, la Libyan Airlines e la Afriquyia Airways, hanno affermato domenica in una nota di aver «facilitato» il rimpatrio dei circa 2500 cittadini libici bloccati in aeroporto dalla mattina di domenica.
NUOVO 007 - Intanto Mubarak ha nominato lunedì mattina il nuovo capo dei servizi segreti, che prende il posto di Omar Suleiman, «promosso» alla vicepresidenza dello Stato. A guidare l'intelligence sarà il generale Murad Mowafi, ex governatore del Sinai, secondo quanto riferito dal quotidiano di Stato, Ahram. Ma tra le mosse del presidente egiziano spicca la delega al governo per l'avvio del dialogo politico con le forze di opposizione. Lo ha annunciato la tv satellitare «al-Arabiya». Il capo di stato egiziano ha inoltre precisato che «la priorità è quella di esaudire le richieste legittime del popolo egiziano».
Fonte > Corriere.it