Anna Foa: radici e fragilità del negazionismo
RomaSette
05 Marzo 2009
Anna Foa, collaboratrice ebrea dell’OSS. Romano... contro Williamnson e i complottisti
La storica protagonista di un incontro organizzato dalla parrocchia di Santa Maria ai Monti. Dietro a queste prese di posizione la «teoria del complotto» di Francesco Lalli
Com’è possibile che negli Stati Uniti, che hanno combattuto il nazismo, si siano potute sviluppare teorie negazioniste? Come si può negare l’esistenza della Shoah e in che modo si pone la Chiesa di fronte a tutto questo? Sono solo alcune delle domande che un gruppo di ragazzi tra i 14 e i 17 anni ha rivolto ad Anna Foa, storica e collaboratrice dell’Osservatore Romano, durante l’incontro sul tema del negazionismo organizzato venerdì 6 febbraio dalla parrocchia di Santa Maria ai Monti.
Un doppio appuntamento, il primo dedicato ai giovani e il secondo agli adulti, per spiegare con un duplice registro un fenomeno preoccupante balzato nuovamente sulle prime pagine dei giornali dopo le dichiarazioni del vescovo Williamson, esponente della Fraternità di San Pio X. «Nel gruppo di liceali che ogni venerdì sera s’incontra in parrocchia – racconta il parroco don Federico Corrubolo – era emersa una necessità di comprendere meglio la vicenda che ha coinvolto il vescovo lefebvriano Williamson. I giovani oggi sono abituati a navigare su internet dove ogni teoria, anche quella priva di fondamento, rischia di trovare una sua visibilità. Di conseguenza abbiamo pensato a un incontro che potesse chiarire alcuni dei quesiti sollevati dai ragazzi stessi».
Scelta non casuale, dal momento che l’incontro si è tenuto nell’ex casa dei catecumeni, un’istituzione deputata, dalla metà del Cinquecento e fino agli inizi del Novecento, alla conversione e al battesimo degli ebrei. «Molti qui hanno trovato la fede, ma molti anche un cumulo di sofferenze morali – sottolinea il parroco – e con il riesplodere della questione negazionista ho sentito una triplice motivazione ad organizzare proprio in questa sede questo evento. In primo luogo un dovere da studioso, perché nulla ferisce di più della verità negata; in secondo luogo un dovere pastorale e in terza battuta il dovere di rendere omaggio a tutti quegli ebrei che qui hanno affermato la loro libertà di coscienza, rifiutando la conversione e aiutandoci a vivere come Chiesa cattolica l’esperienza dell’alterità e del confronto».
Dopo aver ricordato i primi passi mossi dal negazionismo in Francia, negli ambienti di destra vicini alla Repubblica di Vichy, e il riaffiorare del fenomeno nel corso degli anni Settanta – stavolta per opera di una frangia d’estrema sinistra – Anna Foa evidenzia gli elementi che caratterizzano nel contempo la forza e la grande fragilità del negazionismo. «Molti tra i negazionisti si definiscono storici pur non avendone alcun titolo – osserva –. Confrontarsi su un piano realmente storiografico con la verità di prove, testimonianze, memoriali, manoscritti, sarebbe per loro del tutto impossibile e, di conseguenza, portano avanti una battaglia che non si fonda su una diversa interpretazione del materiale documentario, ma sulla sua negazione».
La conseguenza di questo “no” espresso nei confronti delle fonti e il tentativo di screditarle o di smontarle una per una, si regge a sua volta su un elemento che non smette di affascinare la mentalità contemporanea: «Si tratta – spiega Foa – della teoria del complotto. L’insieme delle prove a favore dell’Olocausto sarebbe il frutto di un complotto, appunto, ordito dagli ebrei e dagli stati vincitori della Seconda guerra mondiale. Se si unisce tutto ciò all’elemento trasgressivo che il revisionismo negazionista porta con se e al fondo potentemente antisionista che lo alimenta, capiamo perché queste prese di posizione continuino a ritornare ciclicamente alla ribalta riscuotendo anche una certa adesione».
Rischia così di ritornare pericolosamente attuale la profezia di quei nazisti che, di fronte alla vastità del male compiuto e del genocidio perpetrato, dissero a quanti erano prigionieri dei campi di concentramento: «Il mondo non vi crederà mai».
Fonte > Roma Sette