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Ahmadinejad all’ONU: come leggere le sue parole
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Contrariamente al lettore Silvano Stoppa ( Corriere , 29 settembre), lei non si dichiara d’accordo con la delegazione italiana che ha abbandonato l’aula dell’Assemblea dell’Onu a seguito delle affermazioni di Ahmadinejad contro Israele. Eppure tali affermazioni sono espressione di un evidente antisemitismo e incitamento all’odio. Ahmadinejad ha detto: «Non è più accettabile che una piccola minoranza domini la politica, l’economia e la cultura di maggior parte del mondo con le sue complicate reti, stabilisca una nuova forma di schiavitù e danneggi la reputazione di altre nazioni, persino le nazioni europee e gli Stati Uniti, per realizzare le proprie ambizioni razziste». Cosa c’è di più antisemita di questa affermazione che ricalca le teorie della cospirazione di Hitler? Lei scrive: Ahmadinejad, di fronte all’Assemblea, «non ha auspicato la distruzione di Israele e non ha negato la realtà del genocidio ebraico».

Sembra quasi che lei consideri questo un merito, in quanto Ahmadinejad non ha ripetuto queste nefandezze che ha invece pronunciato in innumerevoli occasioni.  Bisogna stare attenti a lasciare intendere, come fa lei, che nel complesso le posizioni di Ahmadinejad siano accettabili e solo alcune «contestabili o grossolanamente esagerate».  Preferisco essere d’accordo con l’Italia, la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, l’Ungheria, la Danimarca, l’Olanda, e anche gli Usa, l’Australia, il Canada, e anzi avrei preferito che l’Unione europea tutta si fosse comportata a New York come questi Paesi.

on. Enrico Pianetta, Presidente dell’Associazione parlamentare Italia-Israele


Caro Pianetta,

Nella traduzione dalla versione inglese la frase «antisemita» del discorso di Ahmadinejad è la seguente: «Ancora più pericoloso è che certi circoli (in inglese: parties), facendo uso del loro potere e della loro ricchezza, cerchino d’imporre un clima d’intimidazione e d’ingiustizia nel mondo e agiscano con pre-potenza, mentre rappresentano se stessi, grazie alle loro enormi risorse mediatiche, come difensori della libertà, della democrazia e dei diritti umani». È un’allusione a quegli ambienti ebraici che negli scorsi anni hanno strenuamente difeso, negli Stati Uniti e in Europa, le posizioni del governo israeliano? E’ possibile. E’ una manifestazione di antisemitismo? Se fosse tale sarebbero antisemiti anche tutti coloro che in questi anni hanno sostenuto l’esistenza di una forte lobby filo-israeliana. Sarebbe antisemita ricordare che i consiglieri neo-conservatori di Bush all’epoca della guerra irachena erano in buona parte ebrei americani. Sarebbe antisemita ricordare che la politica del primo governo di Benjamin Netanyahu fu largamente ispirata dal rapporto di una organizzazione americana (Institute for Advanced and Strategic Political Studies), dovuto in buona parte a Richard Perle. Sarebbe antisemita il saggio di due studiosi americani, John Mearsheimer e Stephen Walt, sull’importanza dell’American Israel Public Affairs Committee (la grande lobby filo-israeliana) nella vita pubblica degli Stati Uniti. Sarebbe antisemita sostenere, come si legge frequentemente nella stampa americana, che la politica di Obama sulla questione palestinese e sugli insediamenti ebraici nei territori occupati non può ignorare la posizione di quegli ambienti del Congresso che sono risolutamente schierati a favore di Israele. L’espressione «antisemitismo » non può essere usata come una clava per impedire legittime discussioni e legittime critiche.

Quanto alla mancanza nel discorso del leader iraniano delle solite filippiche su Israele e sul genocidio, mi sono limitato a osservare, come ho già risposto a un lettore, che queste affermazioni, all’Assemblea generale dell’Onu, non sono state fatte. L’uso di linguaggi diversi, a seconda del contesto, può presen-tare un certo interesse per coloro che cercano di decifrare le reali intenzioni di un uomo e di un Paese. I recenti colloqui di Ginevra con l’Iran (a cui gli Stati Uniti hanno partecipato per la prima volta con un negoziatore) sembrano dimostrare che Washington non ha mancato di rilevare questa differenza.

Sergio Romano
 
Fonte >
  Il Corriere della Sera | 05 ottobre 2009


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