«Euro? Non ora, grazie», risponde Andrzej mentre attende il tram davanti alla stazione centrale poco distante dal tetro Palazzo della Cultura, dono di Stalin ai polacchi ai tempi del Patto di Varsavia. L'opinione di Andrzej è condivisa da Ewa, giovane donna con carrozzina al seguito, che sta andando a fare shopping tra mille luminarie a forma di palma nel nuovo Mall sorto come un fungo a fianco dell'hotel Marriott.
L'euro può attendere, dicono in maggioranza i polacchi, d'accordo con il ministro delle Finanze Jacek Rostowski che il 6 gennaio scorso ha dichiarato a Parigi che la Polonia non adotterà l'euro fino quando l'Eurozona non risolverà alcuni dei suoi problemi attuali. Insomma non c'è fretta a Varsavia che ora ricorda con malcelata soddisfazione come due anni fa erano proprio gli europei dell'Ovest a dire di avere pazienza ai polacchi che mordevano il freno ed erano visti come i parenti poveri in cerca di aiuto. «È certo che i paesi della moneta unica devono affrontare e superare alcuni dei problemi che attraversano prima che noi polacchi prendiamo questa decisione», ha detto Rostowski al convegno organizzato dal governo francese sull'economia europea e la sua governance.
Che succede, dunque? Dopo la crisi greca e irlandese l'euro non piace più sulle rive della Vistola? Dariusz Chorylo, responsabile per le relazioni con gli investitori di Bank Pekao Sa del Gruppo UniCredit non ha dubbi: il 2016 e non più il 2012 sarà l'anno del potenziale ingresso della Polonia nell'euro mentre altri analisti di banche d'affari, meno ottimisti, spostano la data al 2018-19: in ogni caso oggi non c'è fretta di entrare nel club dell'euro visto il miracolo economico che si sta rafforzando a Varsavia: l'economia polacca è cresciuta del 3,9% nel 2010 e correrà del 4,4% nel 2011, l'inflazione è al 3,1% e la Banca centrale si dice che sarà costretta a breve addirittura ad alzare di 25 punti base il tasso ora al 3,5 per cento. «A quel punto lo zloty - dice Magdalena Polan di Goldman Sachs – si apprezzerà ma solo a un passo graduale».
«Tre i motivi di questo miracolo sulla Vistola», dice Michal Wrzesinski, docente di economia alla Warsaw School of Economics. «La prima sono i consumi interni di 40 milioni di polacchi che nonostante la crisi economica hanno continuato ad acquistare ma senza problemi di indebitamento tossico, visto che il tasso di mancato pagamento della rata dei mutui è solo dell'uno per cento, il più basso in Europa; la seconda ragione del boom è l'export che grazie alla ripresa della Germania è tornato a correre; la terza sono gli investimenti, tra cui i 67 miliardi di fondi strutturali europei e gli investimenti diretti stranieri che hanno toccato i 10 miliardi di euro nel 2010 e si stima raggiungano i 12,7 quest'anno».
«La vera molla della ripresa è stata la svalutazione dello zloty che – dice Marcin Mrowiec capo economista a Bank Pekao Sa nel suo ufficio vicino al nuovo all'aeroporto - dal luglio 2008 al febbraio 2009 ha raggiunto il 50% nei confronti delle maggiori monete di riferimento del paniere». «È la fine della grande illusione - dice Mrowiec - secondo cui tutti gli stati di Eurolandia avrebbero dovuto avere gli stessi tassi di interesse nel prendere a prestito i soldi sul mercato». «Ecco perché – spiega Michal Wrzesinski - la Polonia non ha fretta di entrare in un club dell'euro che ha troppi problemi irrisolti di governance, che è un cantiere in corso e che farebbe perdere la flessibilità del cambio dello zloty. Finiremmo come la Slovacchia che ha perso competitività senza guadagnare in stabilità».
Attenzione però. Questo non vuol dire che il primo ministro Donald Tusk, europeista convinto, e il suo governo di ispirazione liberista, abbiano abbandonato la direzione di marcia verso l'euro. Anzi l'insegnamento europeista di Leszek Balcerowicz, padre della riforma che pose le basi per la nascita in Polonia dell'economia di mercato negli anni 90 con la famosa shock therapy nonché ex governatore della Banca centrale, una delle più indipendenti al mondo, non è andata affatto perduta.
La stabilità macroeconomica favorita da norme severe (si pensi che se il debito pubblico supera il 55% del Pil scatta automaticamente l'aumento dell'Iva), la ripresa tedesca, l'efficienza della manodopera e i bassi costi di produzione hanno fatto uscire il paese dalla secche della crisi prima e meglio degli altri.
Paradossalmente la battaglia dall'altra parte della barricata - che fecero compatti nel 2008 il presidente della Repubblica, l'ultraconservatore cattolico Lech Kaczynski (poi morto in un tragico incidente aereo) e il governatore della Banca centrale Slawomir Skrzypek, che remarono contro l'euro e l'ingresso nel meccanismo intermedio di accesso per due anni, chiamato Erm-2, approfittando del fatto che l'adozione necessitava di una modifica costituzionale e quindi di un'ampia maggioranza parlamentare che allora non c'era - ha giovato al paese.
Una guerra di retroguardia che, oggi, viene vista con più indulgenza anche dal partito di maggioranza di Donald Tusk (Piattaforma civica), che intanto si prepara alle elezioni politiche previste per l'autunno in un quadro di ottimismo visto che il rapporto Cee quarterly di UniCredit prevede una crescita del 3,8% nella regione.
E pensare che il 26 maggio 2005 la Francia e una settimana dopo l'Olanda bocciarono la Costituzione europea per paura di un'invasione di idraulici polacchi. Chi l'avrebbe detto che l'Est Europa si sarebbe preso una così clamorosa rivincita crescendo di più dell'Europa Occidentale e "snobbando" di entrare nel Club dell'euro solo cinque anni dopo?
Vittorio Da Rold
Fonte > Sole 24 Ore