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"Ho visto Silvio piangere per amore. Lei era commessa alla Standa..."
Il Giornale
02 Gennaio 2011
Nonostante abbia vissuto per 29 dei suoi 73 anni accanto a Silvio Berlusconi (dal 1947 al 1955 come suo compagno di classe nell'istituto salesiano Sant'Ambrogio di via Copernico a Milano, dal 1988 al 1995 come capo della sua segreteria in Fininvest tra via Rovani e Arcore, dal 1996 a oggi per due mandati come suo deputato e per altri due come suo senatore in Parlamento), il milanese Guido Possa non ha preso proprio nulla dall'amico. Mai un'intervista. Mai una foto sui giornali. Mai una polemica. Mai un avviso di garanzia. Mai un processo. Mai un souvenir sui denti. Mai un'iperbole. Mai un lusso. Mai un flirt.
La vigilia di Natale è stato visto scendere alla stazione della metropolitana di Cimiano. Il 27 dicembre stessa scena a Sant'Ambrogio, 12 fermate più avanti sempre sulla linea verde, dove ad attenderlo, per un agguato concordato a fatica dopo mesi d'assedio, ha trovato il vostro cronista. Quando non si serve dei mezzi privati, cioè delle gambe ( da una trentina d'anni fa trekking in Alta Valtellina, dopo aver acquistato un bilocale a Bormio), o di quelli pubblici, il senatore Possa usa i mezzi d'emergenza. Il 24 gennaio 2008 si fece in ambulanza Segrate-Roma, 1.200 chilometri, da casa sua fino al portone principale di Palazzo Madama e ritorno, pur di non mancare a un voto di fiducia: pochi giorni prima s'era rotto il tendine del quadricipite femorale, ma voleva a tutti i costi essere fra i 161 che mandarono a casa il governo di Romano Prodi.
Determinazione ed energia. Ecco le due sole propensioni che hanno unito Silvio e Guido dalla prima media alla fine del liceo classico e che ancor oggi li accomuna. Energia atomica, nella fattispecie: Possa fu uno dei primi nel nostro Paese a laurearsi in ingegneria nucleare. Era il 1961. Dal 1971 è stato l'unico professore universitario d'Italia ad avere la libera docenza in controllo dei reattori e ha insegnato al Politecnico di Milano. Fra i suoi allievi c'era Alessandro Ortis, oggi presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas. Benché convertito al laticlavio, il professore resta uno dei pochi connazionali che, messi di fronte alla console di comando della centrale di Three Mile Island o di Chernobyl, avrebbero saputo dove mettere le mani, e più ancora dove non metterle.
La spinta a occuparsi della complicata materia gli venne dal cuore, dopo aver ascoltato il programma Atoms for peace del presidente americano Dwight Eisenhower, che nel 1955 portò alla prima Conferenza di Ginevra sullo sviluppo delle tecnologie per lo sfruttamento della fusione nucleare a scopi pacifici: «Questo mondo in armi non sta solo spendendo denaro: sta spendendo il sudore dei suoi operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani». Ma la passione per l'energia ha anche un imprinting biologico e olfattivo: «Durante la guerra, sfollato a Taio, in Val di Non, stavo per morire di peritonite: mi salvai solo perché il medico aveva un'auto a carbonella e poté portarmi all'ospedale di Cles, dove fui operato. Poi vidi i tedeschi in ritirata che riuscivano a tirar fuori il carburante dalle patate. E infine, giugno 1945, l'esperienza più acuta: l'odore della benzina portata dai soldati americani».
Il senatore si riconosce come unico merito quello d'aver speso le sue migliori energie in famiglia. Da Franca Ferrario, saggista e docente esperta in servizio sociale, ha avuto quattro figli: Monica, bocconiana, direttore risorse umane e organizzazione di Rcs Mediagroup, la casa editrice del Corriere della Sera ; Paolo e Carlo, ingegneri come il padre, il primo alla Hilti, il secondo all'Autogrill ma in procinto di passare alla compagnia aerea Emirates; infine Francesca, psicologa all'ospedale San Raffaele.
Possa è presidente della Commissione Istruzione Pubblica e Beni Culturali del Senato. In un Paese normale avrebbero affidato a lui, che ne capisce davvero, la guida dell'Agenzia per la Sicurezza Nucleare. Purtroppo ha un grosso difetto: non solo non l'ha mai chiesta all'amico Berlusconi, ma nella sua modestia si ritiene persino inadatto al ruolo. E così il Consiglio dei ministri un paio di mesi fa ha designato Umberto Veronesi, senatore del Pd.
Che c'entra l'oncologo Veronesi con l'atomo, radioterapia a parte? «È sempre stato un convinto nuclearista».
Anch'io sono sempre stato un convinto nuclearista. «Ma forse lei non ha mai dichiarato, come invece ha fatto Veronesi, che dormirebbe tranquillo con un secchio di scorie nucleari in camera sua. Inoltre lei non è mai stato ministro della Sanità».
No, in effetti. Ma che c'entra? «L'Agenzia per la sicurezza nucleare ha lo scopo di tutelare la salute pubblica».
Con tutto il rispetto, come si fa a scegliere un presidente che avrà 95 anni quando la prima centrale nucleare vedrà la luce? «Passerà la mano».
Lei avrebbe avuto dalla sua anche l'età: 12 anni di meno. «Non ho mai dato la mia disponibilità. Non sono mai stato in corsa».
Quale ruolo ha avuto Stefania Prestigiacomo, ministro dell'Ambiente, in questa scelta? «Non lo so. A me dispiace solo che la Prestigiacomo, che doveva indicare due candidati, abbia proposto come commissario dell'Agenzia per la sicurezza nucleare il suo capo di gabinetto, Michele Corradino. Il quale è stato bocciato con 49 no a fronte di 28 sì e poi ribocciato, con numeri ancora più umilianti, pure nella seconda votazione pretesa dal ministro ».
I suoi rapporti con la Prestigiacomo come sono? «Niente di personale. Ma la mia eterodossia in tema di cambiamenti climatici e riscaldamento globale contrasta con quello che pensa il ministro dell'Ambiente. Sono rimasto sconcertato dall'esultanza della Prestigiacomo quando al G8 dell'Aquila fu approvata la risoluzione che impone ai Paesi firmatari, entro il 2050, di ridurre come minimo dell'80% le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera. Se si considera che il Protocollo di Kyoto prevedeva una diminuzione dell' 8%per l'Unione europea e del 6,5% per l'Italia,qualcuno mi deve spiegare come sarà possibile, nel giro di appena 40 anni e in presenza di una crisi economica feroce, riconvertire l'industria mondiale in modo da conseguire un obiettivo dieci, dodici volte più ambizioso. Una pia illusione».
Obiettivo vincolante, ha stabilito la UE. «E allora mi lasci dire che l'Europa costruita sulla tecnocrazia e sul burocratismo a me sembra una delle malattie peggiori dei tempi presenti. Anche Berlusconi se n'è accorto. Sente la cappa di quest'Unione a supremazia franco-tedesca e cerca di sparigliare come può, giocando di sponda con Vladimir Putin e Muammar Gheddafi. Ma la verità è che c'è una carenza d'iniziativa italiana nella politica europea. La UE sta diventando una camicia di forza, una struttura postdemocratica, se non antidemocratica. Quando si fissano degli obiettivi vincolanti e si decide che un moloch supremo controlli semplicemente che vengano raggiunti, ci si mette su una brutta strada. Siamo arrivati all'assurdo per cui la UE ha deciso l'abolizione sic et simpliciter delle lampadine a incandescenza. Via tutte, bandite anche le lucine dell'albero di Natale, si rende conto?».
La sua posizione su clima ed emissioni inquinanti qual è? «Sono un convinto assertore del fatto che l'anidride carbonica potrebbe non essere responsabile del riscaldamento globale. Ammesso e non concesso che quest'ultimo sia un fenomeno consolidato. Anzi, le più recenti esperienze relative alle temperature e alle precipitazioni atmosferiche c'indurrebbero a supporre il contrario, come peraltro teorizzano molti scienziati. Io penso che presto salteranno fuori tutte le vergogne dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change, il foro intergovernativo sul mutamento climatico istituito dalle Nazioni Unite, ndr) , che attribuisce il riscaldamento globale ai prodotti della combustione del petrolio e del carbone».
Il professor Nicola Scafetta, uno scienziato di Gaeta che insegna alla Duke University negli Stati Uniti, mi ha illustrato una sua proiezione climatica secondo cui le temperature diminuiranno fino al 2030, per poi aumentare di nuovo fino al 2060, in base a due cicli naturali ricorrenti che dipendono dal Sole e che non sono minimamente correlati con i gas serra. «Ho sostenuto in Senato due mozioni, le uniche approvate da uno dei 27 Parlamenti della UE, che esprimono preoccupanti dubbi sulla linea di Bruxelles, da anni totalmente appiattita in modo scandaloso sulle conclusioni dell'Ipcc».
Com'è giunto a nutrire questi preoccupanti dubbi? «Vede, un secolo fa, quando la scienza era elitaria e non imbragata dalla politica, bastava ragionare. Albert Einstein formulò la teoria della relatività a tavolino. Gli servirono solo una penna e un pezzo di carta per raggiungere l'equazione fisica che stabilisce una relazione tra l'energia e la massa. Per anni mi sono occupato di ricerca industriale sui reattori nucleari, un'attività più vicina alla tecnologia che ai massimi sistemi dell'universo, perché produce macchine. Ho avuto il privilegio di fare migliaia di misure, molto difficili, di temperatura e di pressione. È complesso garantire che siano eseguite con precisione. Tutto questo mi ha portato a dubitare di qualsiasi asserzione, a distinguere fra verità assestate e congetture. Lo chiami pure dubbio sistematico sulla misura. Davanti a qualsiasi affermazione, la prima cosa che mi viene spontaneo chiedere è: come fai a dirlo? Che prove hai? Come le hai raccolte?».
Ottimo metodo, applicabile anche al giornalismo. «Molte di quelle che oggidì vengono spacciate per verità assestate sono in realtà congetture. Che la Terra giri intorno al Sole, è una verità assestata. Ma che l'universo si sia prodotto con il Big Bang, la grande esplosione, non è che una notevole congettura, a sostegno della quale vi sono soltanto due o tre dati sperimentali. Se lei non crede alla legge di Ohm, io prendo la resistenza R, ci faccio passare la corrente I, e le dimostro che ai due capi si misura una differenza di tensione V. Ma che cosa accadde con precisione 12,7 miliardi di anni fa? Non è un'esperienza ripetibile».
Lei ha dichiarato che il ritorno all'energia atomica dev'essere un tema bipartisan, perché richiederà investimenti massicci per almeno 20 anni. È sicuro che, se cambia il governo, il nucleare non venga di nuovo affossato? «Quando l'ENELo la A2A, o la tedesca Eon, o le francesi Edf e Gdf-Suez avranno deciso l'investimento e trovato i siti dove costruire le centrali nucleari, il dado sarà tratto e non si tornerà indietro, perché queste o altre cordate avranno maturato diritti che non potranno più essere lesi».
Ha anche sostenuto che serviranno dalle 6 alle 10 centrali. Da mettere dove? Nessuna regione le vuole. «È sufficiente individuare tre siti, ognuno dei quali potrebbe ospitare due o tre centrali. L'importante è che entro il 2030 si arrivi a coprire col nucleare il 25% del fabbisogno nazionale di energia elettrica».
Avrà apprezzato l'appello rivolto a Pier Luigi Bersani da Umberto Veronesi e da altri 71 scienziati, intellettuali e parlamentari di sinistra, fra i quali Margherita Hack, Edoardo Boncinelli, Franco Debenedetti, Fabrizio Rondolino, Pietro Ichino e Chicco Testa, affinché il segretario del Pd non chiuda la porta al rilancio del nucleare in Italia. «Quando Bersani era ministro dell'Industria, nel governo doveva fare i conti con personaggi come il verde Alfonso Pecoraro Scanio e quindi non poteva esprimersi più di tanto. Il segretario del Pd ha un'abilità tutta particolare nel nascondere quello che pensa realmente. Dipenderà dalla scuola comunista dove s'è formato. Ma ho capito che sotto sotto non è per nulla contrario al nucleare».
Chi sono i colleghi della maggioranza che stima di più? «Vado d'accordo con tutti».
Non faccia il doroteo. «Ma è vero. Lei vorrebbe qualche nome? Allora scriva che stimo molto Renato Schifani, Gaetano Quagliariello, Maurizio Gasparri, Antonio D'Alì, Franco Asciutti e Paolo Scarpa Bonazza Buora, presidente della Commissione Agricoltura del Senato, col quale ho condotto un'indagine sull'impiego degli OGM durata due anni».
Rimproverò al ministro Giulio Tremonti d'avere «un linguaggio brachilogico», dal greco brakùs, breve. «Sì, brusco, molto sintetico. Ma abbiamo un buon rapporto, m'invita sempre ai convegni dell'Aspen Institute».
Se ne parla come possibile sostituto del Cavaliere a Palazzo Chigi, così almeno vorrebbe la Lega. «Se ne parla e se ne straparla».
E nell'opposizione con chi va d'accordo? «Con Luigi Zanda, Vincenzo Vita e Mariapia Garavaglia, per esempio, tutti e tre senatori del Pd. Mi dispiace molto, tuttavia, che la vis polemica e l'obbedienza di partito obblighino persone stimabili ad assumere posizioni che non stimo per nulla. Purtroppo nella concezione comunista del potere il fine giustifica i mezzi, inclusa la negazione della verità, cosa che per me invece è intollerabile».
Come mai il suo amico Berlusconi non l'ha mai nominata ministro? «Non ho né la preparazione né il physique du rôle. Sono troppo scrupoloso. Mi sarei preso l'esaurimento nervoso».
E perché, dopo essere stato sottosegretario all'Istruzione, non le ha più dato incarichi di governo? Si parlava di una sua delega al nucleare. «Nessuno me ne ha mai accennato».
Ecco, così almeno per una volta non si potrà dire che il Cavaliere promuove i suoi amici. «E i suoi ex dipendenti».
Quando cominciò a lavorare per lui? «A dire il vero il primo a essere assunto fu mio fratello Giulio, uno dei quattro architetti che hanno realizzato Milano 2. Siccome non aveva ancora superato l'esame di Stato, fui io a firmare il progetto della prima casa costruita da Silvio in via Alciati. Era il 1961. Subito dopo trovai posto al Cise, un centro di ricerche industriali di proprietà dell'ENEL che si dedicava allo studio delle centrali nucleari e termoelettriche. Percorsi tutti i gradini interni, da semplice ricercatore a direttore del settore ricerca e sviluppo. Ma nel 1987 vi fu il referendum sul nucleare e capii che la strada s'interrompeva. Così l'anno successivo mi rivolsi a Berlusconi, che mi offrì la responsabilità della sua segreteria».
Sarebbe potuto diventare come Fedele Confalonieri, per l'amico Silvio. «Ma nemmeno per sogno. Confalonieri spicca per doti notevolissime. Già a scuola dai salesiani si capiva che aveva una marcia in più. Alla messa delle 8 suonava l'armonium con una grazia tutta speciale».
Com'era l'alunno Berlusconi? «Scriveva bene. Eccelleva soprattutto nelle materie umanistiche. Era sempre pronto ad aiutare i compagni meno dotati. Dimostrava una ricchezza sentimentale che io non ho mai avuto, una capacità di risposta appassionata a qualunque richiesta. Ricordo che a maggio i preti dell'istituto Sant'Ambrogio ci obbligavano a propagandare il mensile Gioventù Missionaria. Silvio era capace da solo di far sottoscrivere centinaia di abbonamenti, noi al massimo una decina».
Su alcuni giornali è apparso che vi passava i compiti in classe in cambio di soldi. «Un'assurdità, prim'ancora che una falsità. I docenti salesiani erano occhiutissimi, copiare sarebbe stato impossibile. Alle medie avevamo un professore di lettere d'origine veneta, Tarcisio Strapazzon, segaligno e burbero, che lo avrebbe beccato subito».
Chi ricorda, oltre a Berlusconi, di quella classe che nel 1955 affrontò la maturità classica? «C'era Gianni Marzocchi, che l'anno seguente avrebbe partecipato al Festival di Sanremo con la canzone Musetto scritta da Domenico Modugno. In seguito si dedicò al doppiaggio: è sua la voce di Robert Duvall in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. C'era Lino Di Pilato, che andò a fare il chirurgo ortopedico all'ospedale Bassini. C'era Lucio Dal Santo, che divenne docente di lingua e letteratura russa alla Cattolica, traduttore di classici, da Dostoevskij a Tolstoj, ma soprattutto studioso e divulgatore dei samizdat, le opere dei dissidenti sovietici.C'era Ariberto Spinelli, che oggi è psicologo e scrittore. Ogni due anni Silvio organizza una rimpatriata della classe. Ha sempre invitato anche Angelo Gallicchi, che da sindacalista socialista dell'Azienda trasporti milanesi aveva fatto carriera nella CGIL, tanto che fu chiamato a Mosca per il 50° di fondazione del PCUS. Èmorto pochi giorni fa, la vigilia di Natale. Dei 24, ci hanno già lasciato in sei, e fra questi Marzocchi e Di Pilato, scomparsi prematuramente».
In quella classe c'erano anche altri due futuri senatori di Forza Italia, Romano Comincioli e Luigi Scotti. Su 24, ben quattro in politica e nello stesso partito. Un sesto tondo. Ammetterà che è curioso. «Comincioli s'era molto legato a Silvio come venditore di case dell'Edilnord, mentre Scotti era diventato un dirigente della Sip. Siamo tre esempi di come si può essere cooptati dal leader per fiducia e per conoscenza diretta. Che c'è di male in questo? Forza Italia è nata dal nulla, nel 1994 non disponeva di una classe dirigente. Logico che Berlusconi si sia guardato attorno, abbia pescato nella cerchia dei professionisti che stimava. C'era una locomotiva che aveva bisogno dei vagoni. Io sono sempre stato un vagone. In altri partiti non è diverso».
Ai vostri periodici meeting non ha mai partecipato Adriano Manesco. «Non s'è mai capito il perché. Era il più bravo della classe. Studiosissimo. Finito il secondo anno di liceo, si preparò per tutta l'estate e diede gli esami a ottobre, saltando così il terzo anno. Da allora non l'ho più rivisto. So che si mantenne all'università lavorando come correttore di bozze al Giorno. Mi pare che poi abbia vissuto a Taiwan. Una persona singolare. Andavo spesso a fare i compiti a casa sua, in via Sabaudia, vicino a piazzale Loreto. Così come a casa di Silvio, in via Volturno».
Rendimento scolastico a parte, Berlusconi che tipo era? «Sempre un passo avanti agli altri, sempre elegante. Uno dei primi montgomery lo vedemmo indosso a lui. Intraprendente come nessun altro. Avevo 15 anni quando mi propose di vendere le spazzole elettriche Elchim. Costavano 7.000 lire. Le portava a scuola insieme col dentifricio Binaca in stock. Dava la merce a me e a pochi altri in conto vendita. Mi spiegò un metodo infallibile per convincere le casalinghe: "Tu apri la scatola di raccolta della polvere e mostri che è perfettamente vuota. La richiudi. Passi la spazzola elettrica su un tappeto che è stato appena pulito. Dopo un minuto riapri la scatola e vedrai che è piena di schifezze. A quel punto la signora ti compra l'aspirapolvere di sicuro". Aveva ragione. Ovviamente c'era un margine di profitto per noi venditori, che ci versava puntualmente».
A me la mamma Rosa, quando la intervistai in occasione dei suoi 95 anni, raccontò che il suo Silvio vendeva frigoriferi Ignis e che una vigilia di Natale ne portò uno sulle spalle a una signora, salvo scoprire, salito fino al quinto piano, che aveva sbagliato scala. «Non posso crederci. Con quello che pesavano allora i frigoriferi, saranno stati almeno in due o tre a salire le scale. Ecco, lo vede il dubbio sistematico? Affiora sempre».
Berlusconi era interessato già allora alle belle ragazze? «Ovvio, nonostante l'istituto salesiano fosse frequentato solo da maschi. I suoi erano i racconti del cacciatore. Rammento che ebbe una relazione molto intensa con una ragazza. Si favoleggiava che fosse una commessa della Standa. Lo vidi piangere per questa storia. Insomma, non era il tombeur de femmes che dice: "Più una, più una, più una...". Si trattava di una passione vera».
Ha conosciuto le mogli del Cavaliere? «Sì, due donne estremamente diverse per temperamento. Carla Dall'Oglio, la madre di Marina e Piersilvio, era una brava ragazza della borghesia milanese che Silvio abbordò mentre era in attesa dell'autobus, offrendosi d'accompagnarla fino a casa».
La mamma di Berlusconi aveva conosciuto nello stesso modo il marito Luigi. «Io abitavo in via Volta e prendevo il tram 4», mi raccontò. «Vedevo sempre questo giovane distinto che parlava di banca e di azioni con un'altra persona. Scendeva alla mia stessa fermata, in Cordusio. Un giorno al ritorno decisi di perdere il tram. "Rosina, non sali?", mi chiese la mia amica. No, risposi, aspetto il prossimo per vedere se c'è su il biondino. Subito dopo s'avvicinò lui: "Permette, signorina, che mi presenti? Sarebbe un onore per me accompagnarla"». «Invece Carla tergiversò parecchio prima d'accettare. Il 6 marzo 1965 fui invitato al loro matrimonio. Il pranzo di nozze si svolse al Gallia».
L'hotel che un tempo ospitava il calciomercato. «E infatti Silvio, che già allora era presidente di una società sportiva, la Torrescalla- Edilnord, ci fece trovare tutta la squadra schierata all'ingresso dell'hotel in pantaloncini corti e scarpe bullonate».
È vero che ora Berlusconi si sente signorino, libero di cercarsi un'altra compagna? «Credo che l'età conti anche per lui».
Senatore Possa, da quanti anni è sposato? «L'anno prossimo saranno 50».
A Roma le capita di frequentare ragazze allegre a cena? «No. Vivo come un monaco in un appartamento in affitto e la sera mi preparo per il lavoro parlamentare del giorno seguente».
L'amico Silvio non la invita a Palazzo Grazioli? «Solo per parlare di politica. Mai alle feste».
Fra le debolezze che imputano a Berlusconi, c'è quella di circondarsi solo di consiglieri che gli danno sempre ragione. Lei non passa per uno yes man, eppure la vostra amicizia resiste da più di 60 anni. Come si spiega? «Non è vero che apprezzi solo il signorsì. È aperto alla critica, purché gli venga rappresentata con toni civili. Semmai diffida dell'assemblearismo. Ha paura che gli altri combinino pasticci, spezzando le linee direttrici che ha in mente. È un retaggio del suo passato di imprenditore: nelle aziende, si sa, le decisioni deve prenderle uno solo».
Lei non appare in TV, non parla con i giornalisti. La riservatezza assoluta fa parte del suo corredo genetico o se l'è imposta? «Per andare in televisione sono richieste prontezza di battuta e capacità d'improvvisazione. Sono doti che non ho mai avuto».
È credente? «Non dimentico l'ambiente in cui sono cresciuto. Ho un enorme rispetto per la religione cattolica, che tuttora impronta parecchie delle cose che dico e che faccio. Non sono più molto praticante. Ma i valori restano quelli che ho imparato dai salesiani. Il mio funerale desidero che sia celebrato in chiesa».
Molti accusano Berlusconi d'aver traviato un'intera generazione con talune trasmissioni in onda sulle reti Mediaset, dal Drive in al Grande fratello, che certo non avrebbero incontrato il favore di don Giovanni Bosco. «Un'accusa totalmente astrusa dal contesto sociologico in cui viviamo. Non tiene conto di dove sta andando il mondo per i fatti suoi, senza il concorso della televisione. Quale tipo di relazioni si siano instaurate fra uomo e donna è visibile da almeno trent'anni negli Stati Uniti e in Europa, dove non arrivano Canale 5, Rete 4 e Italia 1. È stata la liberazione sessuale della donna, il suo diverso ruolo nella società e nel mondo del lavoro, a modificare il costume, non Berlusconi».
Per quale motivo secondo lei il Cavaliere è amato da metà degli italiani e odiato dall'altra metà? «Machiavelli divideva i politici in due tipologie: volpi e leoni. Berlusconi è un leone. Si batte per cambiare un'Italia che è stata per almeno mezzo secolo un Paese semisocialista, e parlo di socialismo reale. Molte regioni si sono adeguate a questo modus vivendi, coltivano l'assistenzialismo, preferiscono campare sulle spalle degli altri. Un radicale come lui, un innovatore iconoclasta che ha ideali diametralmente opposti, non poteva che terremotare la scena. In più non gli perdonano la sua ricchezza».
Come politico lei si sente circondato dalla simpatia della gente oppure dal disprezzo? «Né dall'una né dall'altro. Avverto intorno a me aggressività. La classe giornalistica contribuisce fattivamente, rappresentandoci peggio di ciò che siamo. Perché, inutile nascondercelo, non v'è dubbio che una certa deriva della politica c'è stata. Nella Prima Repubblica i parlamentari si sono trasformati in una nomenklatura».
Nel 1994 era il capo della sua segreteria: perché non impedì a Berlusconi di scendere in politica? «La famosa discesa in campo fu un processo molto graduale, cominciato nel giugno del 1993, quando la Guardia di Finanza piombò in via Rovani e si capì che era partito l'assalto per via giudiziaria alla Fininvest. Il pubblico ministero Margherita Taddei fu particolarmente dura. Le Fiamme gialle sequestrarono tutto, anche il mio computer, nonostante l'unico indagato fosse Salvatore Sciascia, il direttore dei servizi fiscali del gruppo. Nel pc avevo annotato i resoconti delle riunioni sull'evolversi della situazione politica che da sei mesi, ogni sabato, Berlusconi teneva con i suoi più stretti collaboratori e con alcuni giornalisti amici, come Maurizio Costanzo. I riassunti finirono sulle pagine dell' Espresso. Il Cavaliere comprese perfettamente dove si andava a parare: la "gioiosa macchina da guerra" avrebbe aperto un varco al Pds fra le macerie di Tangentopoli e l'Italia sarebbe stata consegnata ad Achille Occhetto. Una prospettiva che lo spaventava molto».
Certo i postcomunisti non l'avevano in simpatia. «Mi colpì lo sconcerto di Silvio di fronte alla decisione di smantellare la DC, presa dal segretario democristiano Mino Martinazzoli. "Gettare alle ortiche un simbolo così prestigioso è un atto scellerato", ripeteva. A luglio inventò il nome Forza Italia e mi mandò dal suo notaio di fiducia, Guido Roveda, a depositare lo statuto dell'associazione. Vennero con me i compagni di scuola Scotti e Spinelli».
E poi? «Ai primi di agosto Berlusconi ci disse: "Ragazzi, quest'estate niente vacanze. Fra pochi mesi si vota. Non c'è tempo da perdere". Io, a dire il vero, andai lo stesso a Bormio. Al ritorno, trovai già pronti il logo, la bandiera e l'inno di Forza Italia e anche il kit del militante azzurro».
Secondo lei esiste sì o no un conflitto d'interessi fra il politico Berlusconi e l'imprenditore Berlusconi? «Oggettivamente il presidente del Consiglio è chiamato a prendere decisioni che possono riguardare anche le sue aziende. Ma pensare che sia quello il motivo per cui è sceso in politica significa far torto alla sua intelligenza».
Avete mai parlato del tumore alla prostata che lo colpì nella primavera del 1997? «Sì. Affrontò anche quella drammatica prova con la sua consueta capacità decisionale. Si affidò senza indugi al bisturi del professor Patrizio Rigatti, il chirurgo del San Raffaele che due anni dopo, con un aereo messo a disposizione dal Cavaliere, sarebbe volato in Tunisia per tentare di salvare la vita a Bettino Craxi, asportandogli un rene nella sala operatoria di un ospedale militare dove mancavano la luce e le garze e al posto del reggibraccio c'era un tronco d'albero. Subìto l'intervento, Silvio tornò al lavoro troppo presto. Ma era nel mezzo della traversata del deserto seguita al ribaltone del 1994 e durata fino al 2001, quando rivinse le elezioni».
Il miglior pregio di Silvio Berlusconi? «L'umanità. È quella che gli italiani percepiscono a pelle».
Il peggior difetto? «Si lega a un altro grande pregio: è un visionario. E come tutti i visionari pensa, sbagliando, che l' intendance suivra, per dirla con Napoleone e De Gaulle. Un errore di sottovalutazione. In politica spesso l'intendenza non segue affatto. Piuttosto si adagia. Nelle sue televisioni il problema si notava meno, anche perché lui faceva cinque o sei parti in commedia: presidente, amministratore delegato, direttore generale, raccoglitore di pubblicità, talent scout, direttore artistico... Ma la politica è un universo troppo largo. Non puoi suonare contemporaneamente le ottave alte e le ottave basse del pianoforte con la stessa mano».
Stefano Lorenzetto
Fonte > Il Giornale
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