Potenza pedagogica delle fiabe
06 Dicembre 2008
Prima, da bambini, hanno imparato spontaneamente e con piacere cose difficilissime: camminare, parlare, disegnare.
Perché la scuola li blocca?
Ecco come il direttore Boimare rievoca le sue esperienze in un'intervista a Le Monde
(1):
«Ai miei inizi nell'insegnamento specializzato, i bambini di 10-12 anni
che avevo in carico non erano capaci di leggere e presentavano tutti
gravi problemi di comportamento. Dopo quindici giorni non avevo più
scolari nella classe: i più se ne stavano fuori, nel cortile, occupati
a giocare o a provocarmi.
«
Sarei caduto in depressione se un giorno non avessi aperto un libro di
favole dei Grimm che era là attorno per tentare di trattenere quelli
che ancora stavano in classe. Come per incanto, ho visto i miei scolari
tornare in classe, e mettersi ad uno ad uno ad ascoltare...».
«
In capo a qualche settimana ero riuscito a ricostituire il mio gruppo
leggendo loro delle favole. Non che la cosa mi rassicurasse. Tanto più
che quelle storie erano piuttosto tremende da capire, e ciò secondo me
rischiava di aggravare il problema... Ma molto presto notai che, se
applicavo i miei insegnamenti sul testo che leggevo loro, essi
accettavano di fare un piccolo sforzo. Solo più tardi ho compreso che
se quei racconti terrificanti li interessavano, era anche perché i
ragazzi vi trovavano la raffigurazione delle loro inquietudini, proprio
di quelle paure arcaiche che li parassitavano».
Da quel momento, Boimare applica ai super-renitenti ad apprendere quella che lui chiama «mediazione culturale».
Che cosè?
«
Fiabe, passaggi della Bibbia, romanzi: la mediazione culturale deve
permettere loro di avvicinare le loro preoccupazioni identitarie dando
loro una forma, includendole in uno scenario che le rende universali, e
condivisibili con gli altri. Così, poco a poco, questi ragazzini
trovano un poco della libertà di pensare. Ci vogliono quasi due anni
per cominciare ad avere dei risultati, ma funziona! E gli scolari delle
classi normali, quelli che non hanno problemi particolari, non hanno
nulla da perdere da questo metodo».
«
....per esempio, appoggiandosi ad un romanzo di Giulio Verne, ogni
professore, sia di lettere, di matematica o d'inglese, può trovarvi
materia per tornare sulle linee generali del suo programma. Non è tanto
complicato. Beninteso, a condizione di accettare il lavoro di
riflessione e di animazione in gruppo che ciò comporta....E' questo che
spesso viene rifiutato dagli insegnanti, che hanno l'impressione di
rischiare di perdere una parte della loro libertà d'azione...Ciò può
essere vero, ma gli allievi hanno tanto da guadagnarci».
Il professor Boimare ha scoperto una cosa non proprio insolita: che la
cultura si trasmette con la cultura. Che altro sono le «favole, i
passaggi della Bibbia, i romanzi»?
Sono precisamente gioielli della cultura, e di quella cultura
«arcaica», «irrazionale» e «terribile» dove i ragazzi difficili vedono
proiettate le loro paure arcaiche, corrispondenti allo stato
arcaico-infantile del loro sviluppo.
Piccoli uomini primitivi, si lasciano affascinare dal racconto orale e
dal mistero potente che si cela e si promette dietro figure simboliche,
e inquietanti: l'Orco, la strega cattiva, il Gatto con gli Stivali;
Davide re e peccatore prediletto da Dio, il capitano Nemo....Perenni
figure che accendono il fuoco del voler scoprire, del voler capire,
appellandosi non alla ragione (che i ragazzi non hanno) ma al cuore
voglioso di avventure e di prove iniziatiche.
Boimare non è affatto stupido. E' uno psicologo clinico specializzato in pedagogia, e insegna a
ragazzi difficilissimi (quelli con «rifiuto totale») da trent'anni. Il
suo ritardo culturale non è suo, ma della pedagogia egemone,
illuminista e «progressista», che ha cancellato le fiabe.
No, non è affatto sciocco Boimare. Tant'è vero che ha ripensato da capo e rigettato quella pedagogia che
mantiene selvaggi i selvaggi, limitandosi a dotarli di telefonino.
«
Sarebbe tempo di ammettere - dice - che i rimedi cognitivi più sofisticati non danno risultati con quel genere di scolari».
Perché?
«
Perché il problema è altrove. Quando un ragazzo intelligente rifiuta
totalmente di entrare nell'apprendimento della lettura e del calcolo,
vuol dire che è riuscito a mettere in atto, a sua insaputa, delle
strategie per non affrontare la situazione....E' come se l'allievo in
stato di fallimento massiccio non potesse trovare il suo equilibrio
personale che evitando di pensare».
La fiaba supera questo blocco. Dice al ragazzo: non pensare, ascolta. Ecco il racconto, l'antica storia di Pollicino o di Edipo. Basta ascoltarla. Non occorre capirla. E' bella in sé.
Invece, dice Boimare, «
dal momento esatto in cui si mette il ragazzo di
fronte alle costrizioni connesse al funzionamento intellettuale, egli
si blocca, perché vede risvegliarsi in questa situazione di
apprendimento i suoi timori arcaici, forse legati alle sue prime
esperienze educative, che non è mai riuscito a superare».
Ma quali sarebbero questi arcaici terrori, domanda scettico il giornalista di Le Monde, ovviamente razionalista.
Boimare spiega: nell'infanzia, il bambino ha appreso tantissimo vedendo
e ascoltando, senza far ricorso alle facoltà di ragionamento
intellettuale.
I ragazzi difficili in particolare possono aver sviluppato «eccellenti
capacità di associazione immediata» (non hanno appreso così, i bambini
della foresta amazzonica, a diventare buoni cacciatori, seguendo il
padre cacciatore e vedendo come riconosce le tracce e i segni della
preda, di cui sa dire il nome e il carattere?); il guaio è che queste
capacità «eccellenti» ma selvagge le usano anche a scuola, «con un solo
scopo: 'bruciare' il tempo di sospensione che comporta il lavoro del
pensiero».
Infatti quesi ragazzi sono i noti «iper-attivi», sempre in movimento,
nel «passaggio all'atto», che nelle scuole Usa vengono imbottiti di
tranquillanti e sedativi.
Invece, avrebbero bisogno di fiabe.
La fiaba insegnerebbe loro a bassa voce: non chiederti «come va a finire». Come va a finire, lo sai: «...e vissero felici e contenti».
Ma il bello della antica storia non è la sua fine: è il suo indugio, il
suo percorso lento e tortuoso come un fiume, le sue anse dietro a cui
può esserci il drago o la principessa, il cavallino parlante che ti
aiuterà o l'Orco che ti getta nel pentolone... la storia è così bella
in sé, che tu »non vuoi» che finisca. Vuoi che essa indugi, che tardi a
concludersi.
E' così bella, che persino tu fai finta di non sapere «come va a finire». E così impari a sospendere la domanda: che cosa c'è di vero? E' tutta inventata la storia? Ci sarà tempo per scoprirlo. Per adesso, ascolta l'antica storia.
Questi bambini che vogliono «bruciare» le tappe usando le arcaiche
associazioni che hanno imparato da selvaggi, e che non valgono più,
dice Boimare, «non hanno appreso a ripiegarsi nel loro mondo interiore,
sia perchè non hanno ricevuto da piccoli la sicurezza affettiva di cui
avevano bisogno
(2), sia perché
non gli è stato insegnato a gestire la frustrazione. E per questo
mancano di certe competenze psichiche: la stima di sé, e la capacità di
differire i desiderio nel tempo, di sopportare le loro mancanze».
Eh sì.
Il mondo interiore è ciò che distingue l'uomo ad ogni altro animale,
basta osservare le scimmie nella gabbia dello zoo per capire che esse
scrutano costantemente, tese fino allo spasimo, «il mondo esterno»:
ogni piccolo movimento, il crocchio di un sacchetto di noccioline, la
banana in mano di un bambino le rende iper-attive; guardano spiritate,
lanciano urli saltando, incontenibili.
Sono letteralmente «fuori di sé», assorbite dall'esterno che urta i loro sensi eccitati.
Ma il mondo interiore non è meno doloroso. Anzi, da lì vengono tutti i nostri arcaici terrori. Lì compaiono quelle creature che pongono le domande cui si vorrebbe sfuggire: perché anch'io morirò? Che senso ha tutto questo? Perché il dolore mi ha colpito? Non c'è scampo a tutto questo?
Il mondo interiore è la scoperta della propria radicale solitudine. Ma esplorarlo è compito proprio dell'uomo, e le fiabe sono le guide primarie in questa foresta primordiale. Insegnano a vincere gli Orchi e le streghe che ci attendono alle svolte inevitabili della vita umana.
E danno speranza: anche tu, sartorello che si vanta di aver ammazzato
sette mosche, puoi vincere il drago e conquistare la principessa
dormiente che, in giorni lontanissimi, era chiamata Psiche.
Può essere accanto il Gatto con gli Stivali: questa inquietante
creatura che, in un'altra e più arcaica metamorfosi, accompagnò Tobia
figlio di Tobi a chiedere il suo, e si chiamava Rafael. Questo Rafel aveva infatti gli stivali delle sette leghe, perché con
lui accanto Tobia fece a piedi in due giorni la strada da Rage ad
Ectbatana, che sono almeno 300 chilometri; e quando il demone
ammazza-mariti uscì da Sara, mentre Tobia godeva la prima notte con la
sposa, quell'essere inseguì il demone fino in Egitto e lo legò con
catene. Una creatura magica, che indicò a Tobia come catturare il pesce con il
cui fiele, cuore e fegato si può guarire un cieco e cacciare un demonio
assassino.
E' una vecchia fiaba, narrata molte volte, in molti modi diversi, eppure sempre uguale. Inutile dirsi che è inverosimile. Quel pesce risanatore inverosimile divenne «vero» molti secoli dopo,
quando i suoi seguaci si riconobbero fra loro col segno del Pesce,
Ichtyos. Lo videro ridare la vista ai ciechi e cacciare i demoni, e videro il suo cuore spaccato.
Ma per il bambino sono favole, inutile chiedersi subito se sono vere, se il desiderio verrà esaudito. Per ora, basta sapere che il Mago, che si chiamava Merlino e in tempi molto più primordiali si chiamò Wotan, anzi Ouranos
(3),
si fa' elusivo e invisibile, sembra che non ci sia - e alla fine l'eroe
della fiaba scopre che gli è stato sempre accanto, gli ha segnato la
strada, l'ha soccorso e sostenuto in ogni istante.
Questo raccontano le fiabe. Ognuno decida da sé, negli anni, se esse sono false o vere: ti lasciano
libero, mentre ti introducono al mondo interiore - in cui vivrai come
uomo - e ai suoi terrori.
Ma la pedagogie illuminista non vuole. Vuole che il bambino stia assolutamente nella »realtà» e non ne sfugga,
che non sogni; che diventi un »cittadino» e magari un agente di Borsa,
uomo coi piedi per terra, che non spera mai nell'aiuto del Mago.
Così vogliono i nostri bambini, i pedagogisti. A costo di farne degli iper-attivi che che si bloccano nel pensare, dei malati.
Io sospetto che i padri della pedagogia illuminista lo sapessero
benissimo, ma abbiano lo stesso vietato le fiabe per il motivo
intuibile: per impedire ai bambini anche solo di ipotizzare Rafael con
gli stivali delle sette leghe, anche solo di sentir parlare del Mago
sempre invisibile ma che, forse, ti sta segnando la strada.
In fondo, nessuno è realista e secolarizzato come le scimmie dello zoo: ma quale mago, date qui le noccioline!
Arraffa la banana!
Tutte le banane!
A quanto le banane oggi?
3 mila noccioline a me!
No a me, ottomila!
Subito!, con gesti spiritati, con urla, saltellando, pisciandosi
addosso per l'eccitazione... esattamente come i brokers a Wall Street,
come i padroni del vapore, come i furbetti del quartierino, come i
politici nello zoo parlamentare. Gente coi piedi per terra. Che non crede a nessuna favola.
Maurizio Blondet
(pubblicato il 27 dicembre 2007)
1) Catherine Vincent, « Les enfants en échec scolaire massif doivent retrouver la liberté de penser » , Le Monde, 1 dicembre 2004.
2) Incredibilmente, la pedagogia
illuminista (almeno in Francia) «raccomanda ai giovani insegnanti,
durante la loro formazione, di evitare le relazioni affettive con i
loro scolari. Mentre la stessa neurologia dice che se un bambino non è
coinvolto affettivamente non è in grado di apprendere nulla» (Boris
Cyrulnik, neuropsichiatra, Le Monde citato).
3) «Ouranos» in greco è il cielo stellato:
parola antichissima, che in sanscrito suona Varuna (Uaruna),
l'Onnisciente, il primo e più alto dio. Dice il Rig-Veda: «Ogni cosa
che esiste nel cielo e nella terra, o anche oltre il cielo, sta aperto
davanti agli occhi di Varuna il re. Egli conta le occhiate segrete di
ogni occhio mortale (i desideri occulti). Quando il giocatore tira il
suo dado, è Lui che regge il gioco sulla scacchiera universale. Quei
lacci annodati che tu lanci per legare il malvagio, o Dio! Che
catturino tutti i mentitori, ma che risparmino tutti i veritieri».
Varuna abita in una reggia che ha migliaia di porte - le stelle - sì da
essere sempre accessibile agli uomini. Conosce tutto ciò che si agita
nel cuore di ogni uomo. Egli è superiore a tutti gli altri dei, il
sovrano regolatore dell'universo: sue sono le leggi che regolano
l'universo, e sono fisse per sempre. In un altro mito, d'altra
cultura, è chiamato l'Antico dei Giorni. L'allusione vedica ai lacci
di Varuna richiama l'arma di Merlino, che è la rete: la magica rete
annodata di stelle di cui il Mago celtico ha avvolto il mondo e tutti
gli uomini, di cui conosce i pensieri. Merlino può cambiare forma a
piacere, apparendo sotto le più insolite spoglie. Merlino è il bardo,
racconta favole antiche.
 |
La
casa editrice EFFEDIEFFE ed il direttore Maurizio Blondet, proprietari
dei contenuti del giornale on-line, diffidano dal riportare su altri siti, blog,
forum, o in qualsiasi altra forma (cartacea, audio, etc.) e attraverso attività di spamming e mailing i
suddetti contenuti, in ciò affidandosi alle leggi che tutelano il
copyright ed i diritti d’autore. Con l’accesso al giornale on-line
riservato ai soli abbonati ogni abuso in questo senso, prima tollerato,
sarà perseguito legalmente. Invitiamo inoltre i detentori,a togliere
dai rispettivi archivi i nostri articoli. |
|
Home >
Free Back to top
Nessun commento per questo articolo
Aggiungi commento