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Per il Quirinale, faccio un nome onorato
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Quanti siete rimasti sulla poltrona, non so; e francamente non ho voglia di verificare. Parlo di voi, deputati, senatori, politici superstiti di formazioni che si sono chiamate MSI, Alleanza Nazionale, oggi non so. Mi rivolgo a voi nella speranza – forse vana – della bancarotta politica e morale di cui siete responsabili. Dopo Alemanno al Comune della capitale, dopo la Polverini in Regione (e non dimentico Storace), dopo le prove date da La Russa come Ministro della Difesa, non c’è rimasto in voi più nulla da sperare, se non la vostra scomparsa nella fossa settica della storia, cosa che avverrà fra un paio d’anni.

Vi chiedo di fare un’ultima cosa. Siete abbastanza numerosi per mandare un segnale nel voto per la carica di presidente della repubblica. Vi chiedo di votare per un uomo stimabile. Non lo farete salire al Quirinale, ma sarà da parte vostra una specie di onore delle armi reso alle idee e alle virtù che avete tradito. Ho il nome di questa persona migliore di voi:

Massimo Carminati, pregiudicato, arrestato poco prima di Natale, sbattuto preventivamente in galera prima a Tolmezzo e attualmente a Parma. In isolamento da 41 bis.

Personalmente non lo conosco, e per qualche tempo ho condiviso su di lui il disprezzo ispirato dai media e le soffiate dei procuratori ai giornalisti amici, molto facondi nella demonizzazione del Nero. Poi, quando è stato visitato in carcere da un deputato del PD, certo Mattiello, i media hanno dovuto riportare le sue parole al parlamentare: «Sto bene, grazie. Non mi serve niente. La ringrazio per la visita, arrivederci». Tanto di cappello, mi sono detto. Mettetevi nei suoi panni: arrestato il 6 dicembre coi mitra dei carabinieri puntati, passate le feste in isolamento in un carcere sconosciuto, senza nemmeno poter scambiare una parola – a Natale – con la sua famiglia, lontanissimo dal suo avvocato, senza biancheria di ricambio. E quando il 29 dicembre si trova davanti un deputato, non si aggrappa alla sua mano, non piagnucola, non implora aiuto, nemmeno chiede che si metta in contatto coi suoi, che gli facciano avere la biancheria. «Non mi serve niente. La ringrazio per la visita. Arrivederci».

Ragazzi, ecco un tipo umano ormai sconosciuto in Italia: un carattere. Un uomo che ha rispetto di sé, che ha forza interiore per non piegarsi né abbassarsi, che sa mantenere la dignità anche travolto dalla sciagura: di tempre così avrebbe bisogno la vita civile, il Governo, la «destra», non di molluschi come voi. Lo stesso deputatuzzo comunista, si capisce dai giornali, ne è rimasto colpito. Nega che Carminati gli abbia detto quelle parole per spavalderia: «L’ho trovato sobrio, freddo. Gli hanno aperto la porta del carcere, lo hanno portato in una sala in cui a ventaglio erano seduti un parlamentare che non aveva mai incontrato prima, la direttrice del carcere e una serie di funzionari. Mi ha guardato in faccia, ma non ho ravvisato un’aria di sfida. Ha controllato la situazione, si è limitato a quelle scarne frasi di cortesia».

«Sobrio. Freddo. Ha controllato la situazione»: sono le qualità del comando. Quanto disperatamente ci mancano, nella politica e nella società in genere, personalità sobrie e fredde, capaci di controllare la situazione con uno sguardo e di comportarsi di conseguenza. Mai avete voluto fra voi, politici, gente di simile tempra e di onore: troppo scomoda, poco adattabile agli interstizi e ai compromessi, poco ameboide.

La biografia del personaggio, sfrondata delle criminalizzazioni, diffamazioni ed autentiche calunnie mediatico-giudiziarie, è istruttiva. Carminati, dicono i media, ha perso l’occhio «in uno scontro a fuoco con la polizia»: notizia esattissima, basta precisare che si trattò di scontro a fuoco unilaterale: a sparare furono solo gli agenti della Digos quell’aprile 1981; Carminati era disarmato e stava cercando di fuggire oltre confine presso Varese, insieme a due altri membri dei NAR. Per la precisione, dunque, è stato vittima di un delitto poliziesco. Delitto impunito come tanti di quel periodo, s’intende: ammazzare un fascista non è reato.

«Pluriomicida», lo dicono i media. In realtà, l’hanno accusato dell’assassinio del giornalista Pecorelli, su mandato presunto di Giulio Andreotti: un vecchio teorema che s’erano architettate le procure, la quali poi non sono mai riuscite a dimostrarlo — segno che il teorema era falso e i procuratori erano mossi da odio ideologico, e segno certo della loro incapacità professionale. Di questo preteso assassinio, hanno processato Carminati non una, ma due volte: e per due volte ha dovuto essere assolto.

Una cosa si desume dalla lettura dei media: che gli inquirenti lo hanno intercettato per anni, che giornalisti insufflati e imbeccati hanno creato sulla sua misura, con elementi delle indagini, la sua leggenda nera, il Romanzo Criminale, il Re di Roma nera, il contiguo della banda della Magliana, «l’arbitro di vita e di morte nella malavita romana, tutta una strategia di preparazione e costruzione di un grande colpevole da far giganteggiare davanti all’opinione pubblica ancor prima di arrivare a un processo. Ovviamente, lui lo sapeva. Uno che «controlla la situazione», figuratevi: sapeva d’essere pedinato intercettato ed ascoltato quando parlava col suo avvocato (reati della giustizia, dunque impuniti). Se ne prende gioco. Si arrabbia solo quando il giornalista-verme, che col Romanzo Criminale ha svelato l’inchiesta su di lui in anticipo, gli attribuisce lo spaccio di droga: il suo onore di fascista, che rifiuta le dipendenze, si ribella. «Finché mi dicono che sono il re di Roma mi sta pure bene. Però sugli stupefacenti non transigo. Lunedì voglio andare a parlare col procuratore capo e dirgli: se sono il capo degli stupefacenti a Roma mi devi arrestare immediatamente», dice ai suoi avvocati.

Gli attribuiscono rapine in banca – attività criminali che richiedono intelligenza, sagacia, capacità di coordinamento e di comando – e «il furto al caveau della Banca di Roma interno al Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio, a Roma, avvenuto il 17 luglio del 1999.». Un furto al palazzo di Giustizia: geniale, per uno che sa di avere le procure all’ascolto. Secondo Wikipedia, Carminati è «considerato la mente di tutta l’operazione, assieme ad una banda composta da circa 23 persone»; un’operazione in cui «Carminati riuscì a trafugare da 147 cassette di sicurezza di “proprietà” di dipendenti del palazzo, oltre a 50 miliardi di lire in oro e gioielli, oltre a diversi documenti riservati appartenenti a giudici e pubblici ministeri che sarebbero serviti per ricattare alcuni magistrati».

E di questo, scusate, sarebbe bello sapere di più: nelle cassette di magistrati ed altri dipendenti del palazzo ci sarebbero stati 50 miliardi di lire in oro e gioielli? Diciamo, preziosi per 35 milioni di lire in ciascuna delle cassette private? Se non è una balla del giornalista verminoso, sarebbe interessante avere una spiegazione: ah, poter intercettare una volta i giudici!

Fatto sta che Carminati ha il bottino, dovrebbe essere ricco («Del bottino del caveau è stata rinvenuta soltanto una minima parte») Invece risulta che «conduceva una vita morigerata e rigorosa con la sua compagna nella villetta di Sacrofano, una Smart e pochissime uscite, una grande passione per National Geographic». Una Smart? Un malvivente che ha messo le mani su 50 miliardi di vecchie lire, ha come auto una Smart? Che contrasto con il missino Fiorito, er Batman (lui preferisce «il federale di Anagni»), che quella rara volta che a Roma nevicò, s’è comprato sull’unghia un SUV coi soldi di noi contribuenti. Certo, Er Batman ammesso di aver comprato anche una Smart: «con i fondi (pubblici), ma è a disposizione del gruppo consiliare, io non la uso, perché non riesco a entrarci». Già, Fiorito è obeso. Carminati è magro — ed è uno dei motivi non ultimi della mia non tanto segreta stima. Vita morigerata e rigorosa, al contrario di voi missini in poltrona. Ma «Sa quante volte ha pagato le visite mediche private a ex camerati e ai loro familiari?», dice il suo avvocato.

Una Smart invece di un Suv o di una BMW da 80 mila euro, ma in cambio, aiutare i camerati. Ebbene: ecco le qualità che avrei desiderato trovare in voi, politici che ho votato negli anni lontani in cui votavo MSI. Votavo per i morti impuniti, per Ramelli sprangato a Milano dai rossi su mandato dei professori della sua scuola, per i militanti Mazzola e Giralucci trucidati nella sede MSI di Padova da brigatisti col silenziatore, per i due fratelli Mattei di Primavalle bruciati vivi in casa loro, fra gli applausi di Franca Rame e l’approvazione del direttore de Il Messaggero di allora; votavo per le decine di giovani di destra ammazzati brevi manu dai poliziotti o rovinati da accuse di stragi che non avevano compiuto, ma che li hanno portati per anni in galera, dove a volte sono morti. Ho sempre creduto che aveste fissi nella memoria i nomi dei vostri morti. Che una volta saliti al potere per una serie improbabili di circostanze, la memoria di quei morti – pensavo – vi avrebbe indotto a comportarvi con dignità, sobria freddezza, senso di responsabilità e di militanza, forza di carattere — in loro nome e per vendicarli nobilmente.

Macché. Abbiamo visto Gasparri «smarrirsi» in un viale di travestiti. Alemanno fare culo e camicia con i più ributtanti ambienti della Roma magnona, e così l’orribile Polverini, e il Larussa mandare allo sbaraglio «i due marò» e non prendersene alcuna responsabilità. Vi abbiamo visti papponare, malversare, abbassarvi immediatamente al livello losco e papponesco della corruzione politica. Gente senza carattere, amebe attaccate al denaro e incapaci di tutto, tranne che il malaffare e il lasciar fare. E per di più, ve la caverete in giustizia, siete a piede libero.

Il fatto che in Italia la selezione delle persone agisca in modo che voi amebe siete dove dovrebbe essere Carminati, e lui dove dovreste essere voi – in galera – spiega tutto.

Spiega perché in Italia la corruzione non solo dilaga e dilaga il delitto, ma perché non si fa mai niente, niente si decide, nessuna soluzione si trova mai: perché ci vogliono sobrietà, carattere, volontà, coraggio, persino audacia. Tutte le qualità che il mondo politico non solo non ha, ma ha accuratamente escluso preventivamente di darsi, escludendo che ne mostrava una briciola. L’ho già notato in un vecchio compianto funebre al grande capo Badalamenti: tragico destino, quello di un Paese che si priva di tali personalità e li deve lasciare alla Mafia, mentre si sceglie come presidente della repubblica una losca sporca, molliccia nullità come Oscar Luigi Scalfaro — non meno delittuoso del primo ma tanto ammanicato per non essere indagato. L’ho ripetuto all’arresto di Provenzano: ad ottant’anni, una vita di monaco recluso, pasti di cicorie amare e formaggio, in una casa spiata da chi governava tutta l’organizzazione e i suoi miliardi con pizzini.

Uomini, lo dico e lo ripeto, ammirevoli. Che sarebbe stato bello potere chiamare ai compiti più alti per la nazione; ma la nazione non è capace di attrarre a sé che mezze cartucce, delinquenti di mezza tacca, smidollati che si piegano e piagnucolano alla prima avversità, debosciati senza dignità né carattere.

Allora dico a voi. Prima di precipitare per sempre nel cesso della storia a cui vi siete diretti da soli, fate un gesto politico, fate finalmente un atto di anti-conformismo, originale, politicamente scorretto. Siate per una volta audaci e sprezzanti del pericolo e dei giudizio dei più. Onorate un delinquente migliore di voi. Rendete omaggio alle qualità e virtù che dovevate avere voi, e che non avete mai mostrato. Quando si voterà per dare un inquilino al Quirinale, fate convergere i vostri voti sul nome

Massimo Carminati

PS. – Alle anime belle, ai moralisti grillini e manettari che per avventura mi leggessero, e sono pronti a strillare che non può diventare Presidente della Repubblica un pregiudicato mafioso e malversatore, mi limito a far notare quanto segue: che essere pregiudicati ed ex carcerati è un «requisito preferenziale» per ottenere gli appalti al Comune di Roma, la Capitale d’Itaglia. Era proprio in quanto assassino condannato che Salvatore Buzzi ha potuto formare la cooperativa composta di ex detenuti, ed ottenere il business dell’immigrato, che «rende più della droga»: perché si doveva agevolare il «recupero», il «percorso di riabilitazione» dei suddetti delinquenti. Sembra arbitrario fermare il percorso di riabilitazione, con le dovute progressioni di carriera e corsie preferenziali, alle porte del Quirinale. Tanto più sapendo che il venerato inquilino del Quirinale in carica, da deputato europeo, frodava sui biglietti aerei — il che non ha impedito ai media e ai politici di incoronarlo Venerato Maestro e Padre della Patria. Si ammetta almeno che tutto ciò ha alquanto confuso i confini fra ciò che è giusto ed ingiusto nelle funzioni pubbliche, e che la frontiera fra disonestà e onestà non è più tanto netta e precisa. Si aggiunga che abbiamo saputo che 83vigili urbani romani su 100 si son dati malati a Capodanno, dunque hanno rubato lo stipendio, e pare lo facciano di continuo e senza il minimo scrupolo (non si dice vergogna) — e non sono nemmeno pregiudicati, o almeno non tutti. Il che sembra dimostrare che il finire in carcere o sotto processo non pare un criterio sufficiente di esclusione dalle carriere pubbliche.

E infine, lo sapete benissimo: siete, siamo tutti pregiudicabili. Basta che un giudice ci intercetti i telefoni e mandi i suoi segugi ad ascoltare quel che diciamo al bar – per quattro anni, come hanno fatto a Carminati, intercettando anche il suo avvocato – e trovano abbastanza indizi da mandarvi a processo (se non altro per omofobia). Su Carminati, i valorosi magistrati hanno prodotto 80 mila pagine in 4 anni d’indagini ed origliamenti; la sola ordinanza di arresto è di 1200 pagine (di intercettazioni per lo più), che gli avvocati difensori non hanno avuto il tempo di leggere. Del resto, la procura ha anche sequestrato i conti correnti non solo di Carminati ma dei suoi familiari, sicché l’hanno privato dei mezzi economici per difendersi — specialmente con gli avvocati a Roma e lui a Tolmezzo, poi a Parma.

Pensate a voi, o anime belle: se avete la fedina penale pulita, è solo perché il procuratore non vi mette sotto ascolto. O non gli importate, oppure perché gli fa comodo salvare voi e incriminare i vostri avversari. Con simili giudici, siamo – siete – tutti in libertà provvisoria.

Che poi Carminati sarà assolto me lo dice una vecchia esperienza di cronista: l’atto di accusa di 80 mila pagine, il dispositivo di arresto di 1200, dicono che i magistrati non hanno in mano molto di concreto. Per questo devono moltiplicare indizi e soffiate ai giornalisti amici. Per un atto d’accusa fondato, di pagine ne bastano quattro.

Apprendo che Carminati in carcere – dicono i media, con non si capisce quale scandalo – «legge Dostoevsky». Vedo che la cosa e l’autore sembrano insoliti per voi politici da residuo e liquame, e voi giornalisti verminosi. Probabilmente voi avreste letto gli atti dell’accusa, o avreste chiesto un sedativo, magari un sonnifero. Il vostro livello non vi consente di capire il particolare effetto tranquillante che un carattere, incarcerato, cerca nella specifica lettura di un’opera d’arte. «Davanti all’opera d’arte – disse Adalbert Stifter – si spegne ogni lutto privato per far posto a quel grande lutto che sgorga dall’essenza dell’uomo stesso, e che prende direttamente e tangibilmente corpo nella perfetta opera d’arte tragica».

E pensare che al Quirinale eleveranno una Boldrini, un Grasso, o qualche altro paraculo graziato perché non intercettato; e che si fa il nome di Fassino e Rosi Bindi, da tremare di schifo... no no, il mio nome è questo: Carminati for President.



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