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Omaggio a don Luigi Villa
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Defensor fidei

Generalmente quando una persona muore tutti coloro che lo hanno conosciuto si comportano in un modo univoco: il soggetto o viene esaltato fino al parossismo, o vilipeso senza pietà. Rari sono i casi in cui amici e detrattori s’inchinano davanti alla salma: gli amici riconoscendo la grandezza, i nemici la lealtà, la coerenza ed il coraggio.

Sicuramente padre Luigi Villa appartiene a questa seconda categoria molto rara e veramente eccezionale.

Tutta la sua esistenza fu dedicata esclusivamente alla sua grande missione: difendere la Chiesa cattolica contro tutto e tutti: soprattutto contro chi ne insidiava l’esistenza, la dottrina ed il magistero.

Don Villa nacque a Lecco il 3 febbraio 1918; dopo i rituali studi del Liceo Classico, allora scuola di élite, fu ordinato sacerdote il 28 giugno 1942 in piena Seconda Guerra Mondiale; prima Messa nella cattedrale della sua città natale e poi, per un decennio, sacerdote presso l’Istituto Comboniano. La sua fede era vivissima e potremmo dire contagiosa: la sua missione quella di stare in mezzo ai giovani e di scovare tra di loro le vocazioni, aiutarli a dire quel «fiat a Dio» che spesso per concretizzarsi, oltre che alla riflessione interiore, ha bisogno di un maieuta che aiuti e sostenga l’anima in questo momento di parto o trapasso ad una vita nuova.

Come tutti i grandi personaggi carismatici della Chiesa, anche lui possedeva il grande dono della parola che è la base della predicazione e della divulgazione della fede. Il suo grande ascendente nei confronti della gioventù, gli procurò dei fastidi ed addirittura una condanna a morte comminata da Roberto Farinacci, ministro della Giustizia della Repubblica di Salò, proprio per questo suo costante impegno nei confronti delle nuove generazioni; la motivazione della sentenza era lapidaria: «Padre Luigi Villa pare mandato in giro a sobillare i giovani contro la Repubblica». A quel tempo era sacerdote presso l’Istituto Comboniano di Crema e, grazie ad una «soffiata» fatta ad un suo confratello, riuscì a scappare proprio nel momento in cui il plotone d’esecuzione stava arrivando per eseguire la condanna a morte. Costretto alla provvisorietà ed alla semi clandestinità, poté vedere la fine di questo periodo solo con il termine della guerra.

Ma se è vero che si dedicava totalmente al suo impegno missionario di sacerdote, seguendo gli ordini impartiti da Pio XII, fu sempre pronto a salvare intere famiglie ebree, riuscendo a far passare in Svizzera ben 57 israeliti, che accompagnò sempre personalmente rischiando la propria vita con loro: ed anche questo faceva parte del suo dovere e della sua missione sacerdotale, oltre che del suo carattere.

Nel 1953, a causa di motivi di famiglia, abbandonò i Comboniani ed accettando l’invito del vescovo di Ferrara monsignor Bovelli, si incardinò il quella diocesi dandovi vita al Movimento Missionario Internazionale.

Come spesso accade nella vita, la fatalità favorì un importante e segnante incontro della sua vita: quello con padre Pio da Pietrelcina.

Svolgendo la sua intensa attività di predicatore e conferenziere, nel 1956, era a Bari per degli incontri con dei laureati di quella città; a causa di un piatto di spaghetti alle vongole, fu vittima di un’intossicazione causata dai molluschi avariati: fu soccorso dal suo amico don Berni, cappellano militare all’aeroporto di Bari, che lo fece prelevare da alcuni avieri e trasportare nell’Ospedale Militare. Ed ecco il caso o la Provvidenza che entra in azione: don Berni gli chiese di accompagnarlo a San Giovanni Rotondo. Mentre il confratello si recava a prenotare il pranzo, don Luigi sentì il desiderio di pregare nella chiesetta del convento dei Cappuccini: si raccolse in preghiera, la chiesa era deserta: ad un tratto percepì distintamente la presenza di una persona accanto a sé. Era un giovane straordinariamente bello, che con un sorriso, gli chiese se avesse voluto incontrare padre Pio. Il sacerdote rispose di no, ma il giovane insistette dicendo che padre Pio lo stava aspettando e che pertanto doveva andarci assolutamente. Don Villa si girò per rispondere al suo interlocutore, ma il giovane era scomparso; la cosa lo scosse moltissimo e decise di entrare nel convento per incontrare il frate.

Mentre raggiungeva la cella di padre Pio, sentì un intenso profumo di fiori e nel momento in cui Padre Pio comparve in fondo al corridoio, con voce stentorea, gli disse: «Che fa qui padre Villa?». Inutile dire che i due non si conoscevano e non si erano mai visti prima di allora. Mentre aspettava di essere ricevuto, scrisse una dozzina di domande che voleva rivolgere al suo interlocutore francescano, in un taccuino. Padre Pio non solo rispose a tutte le sue domande ma gli affidò una missione veramente gravosa ed impegnativa: difendere la Chiesa di Cristo dalla Massoneria ed in particolare da quella ecclesiastica. Il Santo frate di Pietrelcina sapeva benissimo, già da allora, quale pericolo corresse la Chiesa di Roma e che essa era già infiltrata dalla setta, la quale lavorava sordidamente per il suo svuotamento e distruzione dall’interno.

E dire che erano periodi in cui la fede e la Chiesa sembravano monoliticamente ancorati al suo Capo celeste ed al suo Vicario in terra! Certo leggere certe cose oggi, non solo fa impressione, ma dimostra che il Santo di Pietrelcina aveva una visione lucida e tragica del futuro, tutt’altro che roseo, cui si andava incontro.

Padre Villa rimase sconcertato e manifestò la sua giusta preoccupazione dicendo che non era preparato a svolgere un compito così gravoso e che, quanto meno, sentiva l’esigenza di essere appoggiato da un vescovo. Padre Pio gli disse di recarsi da quello di Chieti, il quale gli avrebbe detto quello che doveva fare.

Come al solito, il pronunciamento di Padre Pio prese di contropiede anche monsignor Bosio vescovo di Chieti il quale disse a padre Luigi che un vescovo ha potere e giurisdizione solo nella sua diocesi, mentre l’obiettivo che veniva lui assegnato, era davvero molto più ampio. Comunque non si rifiutò di aiutarlo a priori ed andò a Roma a parlare della cosa con il cardinale Domenico Tardini, allora Segretario di Stato di Pio XII. Anche il Segretario di Stato si dimostrò nettamente contrario, ma, considerando che il progetto pativa da Padre Pio, volle parlarne al Santo Padre. Nel successivo incontro Tardini comunicò a Bosio che il Papa aveva approvato il progetto di Padre Pio da affidare a Padre Villa. Il Pontefice poneva solo due condizioni: che il sacerdote si laureasse in Teologia Dogmatica e che doveva essere affidato alla direzione dei cardinali Alfredo Ottaviani, Prefetto del Sant’Uffizio, Pietro Parente e Pietro Palazzini: essi dovevano guidarlo e metterlo al corrente di tanti segreti della Chiesa inerenti al mandato.

Monsignor Bosio, aggiunse da parte sua, una terza condizione: sarebbe stato il suo vescovo di riferimento, ma che non doveva mai aver nulla a che fare con monsignor Montini (futuro Paolo VI). Don Villa non conosceva monsignor Montini e chiese al vescovo spiegazione e lui gli rispose con un esempio: se si prende un tavolo monsignor Montini sta da una parte, tutto il resto dell’umanità dall’altra; questo lo poteva affermare in quanto le famiglie dei due uomini di Chiesa, si conoscevano bene in quanto entrambe abitavano a Concesio in provincia di Brescia.

Con decreto del 6 maggio 1957 il vescovo di Chieti, segretamente, incardinò padre Villa nella sua diocesi; dopo di che, poté iscriversi all’Università di Friburgo, dove nel luglio del 1963 si «licenziò» in Sacra Teologia laureandosi poi il 28 aprile 1971 alla Lateranense di Roma.

Nel 1963 Padre Villa ebbe il suo secondo incontro con padre Pio, il quale si lamentò bonariamente per la lentezza con cui procedeva nel suo incarico; prima di congedarlo Padre Pio gli disse:

«Coraggio, coraggio, coraggio! perché la Chiesa è già invasa dalla Massoneria» aggiungendo: «La Massoneria è già arrivata alle pantofole del Papa» (cioè Paolo VI).

Inizia, a questo punto la carriera di agente segreto di don Luigi, sempre seguito dal cardinale Ottaviani con l’intento principale di documentare l’appartenenza alla Massoneria di alti prelati della Chiesa cattolica, oltre che di occuparsi di certe delicate questioni relative alla Chiesa stessa. Venne, in questa veste, a contatto con Questure, Polizia, Agenzie di investigazioni generali e che gestivano operazioni speciali e coperte.

Smascherò il cardinale Suenens, perché appartenente alla Massoneria, convivente e padre di un figlio e per questo fu rimosso dalla sua sede di Bruxelles.

Sappiamo tutti che gli 007 corrono dei pericoli e don Villa non fu da meno: stava, allora, indagando a Parigi sull’appartenenza alla Massoneria del cardinale Achille Lienart. Mentre aspettava un personaggio dei Servizi Francesi che gli doveva consegnare le prove materiali di questa appartenenza, fu aggredito da un giovane che lo colpì con un «pugno di ferro» gridandogli contro che su questa terra esisteva un Diavolo. Quando si riprese era in una farmacia con una mandibola fratturata e senza più denti.

Ad Haiti addirittura rischiò di esser fucilato dai militari. Gli venne l’intuizione di chiedere all’ufficiale di poter parlare con un suo amico, il Superiore del Seminario; il militare turbato, parlò con i superiori che intervennero e lo rilasciarono con le scuse.

Né mancarono i tentativi di eliminazione fisica più volte reiterati e che condussero don Villa alla soglia della morte, alla quale scampò sicuramente e solamente grazie all’intervento della Divina Provvidenza: eccone alcuni che sono riportati dall’ingegner Franco Adessa, suo stretto collaboratore ed anche autore di alcuni documentati ed interessanti libri e profondo conoscitore della Massoneria (1).

Un giorno don Luigi stava tornando a Brescia da Roma, in macchina. Nei pressi di Arezzo, in prossimità di un viadotto che superava uno strapiombo di un centinaio di metri, fu affiancato da un’auto che lo stava seguendo da un po’ di tempo. L’auto cominciò a stringerlo sempre di più verso il ciglio dell’autostrada cercando di spingerlo contro la barriera che delimitava il viadotto, con la chiara intenzione di farlo precipitare disotto. Per sua fortuna sopraggiunse un’auto di pattuglia della Polizia Stradale: padre Villa cominciò a suonare il clacson per attirarne l’attenzione. L’auto che stava compiendo l’aggressione accelerò, facendo perdere le tracce e il tentativo fallì. Quando raccontò l’episodio al cardinale Palazzini, uno di tre ai quali era stato affidato da Pio XII, in presenza del professor Gedda, quest’ultimo esclamò che davvero si era in guerra.

Un’altra volta si recava a trovare un suo amico sacerdote, don Berni parroco di Corlanzone, in provincia di Vicenza. Uscito dall’autostrada ed imboccata la provinciale, d’improvviso i suoi arti si bloccarono e si sentì progressivamente paralizzato ed incapace di reazione: viveva la scena come se stesse sognando: qualcuno gli aveva somministrato dei narcotici (2). L’auto, ormai fuori controllo, uscì di strada entrando in un campo che terminava con un canale abbastanza ampio e pieno di acqua melmosa. Ormai a pochi centimetri dal ciglio, miracolosamente il motore si spense e l’auto si fermò impedendo così che diventasse la sua bara.

Nel momento in cui il motore si fermò don Villa riprese conoscenza ed uscì dal mezzo: circondato da alcune persone gli fu proposto il ricovero in ospedale che egli rifiutò fermamente.

Alcuni mesi dopo fece visita ad un altro confratello con il quale pranzò. Mentre tornava a casa cominciò a sentirsi male. Arrivato a casa fu chiamato un medico a causa delle sue precarie condizioni fisiche. Gli fu diagnosticato un avvelenamento, tanto che il medico gli disse che esso era stato provocato da un caffè, evidentemente quello con cui aveva terminato il pranzo.

Finché fu vivo Pio XII, padre Villa fu sempre molto ben accolto in Vaticano e molto rispettato e stimato. Alla sua morte, soprattutto dopo l’elezione di Paolo VI, le cose, per lui, cambiarono in peggio e dovette sopportare tutta una serie di angherie e di diffamazioni pesanti e spesso davvero anche molto umilianti.

Il cardinale Ottaviani voleva che parlasse con Suor Lucia la veggente di Fatima e lo accreditò presso il vescovo di Coimbra con una lettera nella quale chiedeva al prelato di concedere l’udienza con Suor Lucia: ma il vescovo chiese spiegazioni a Roma al cardinale Benelli Segretario di Stato di Paolo VI, che sentito il Pontefice negò l’autorizzazione. Davanti alle rimostranze di Ottaviani il Pontefice si scusò palleggiandosi la responsabilità con il cardinale Benelli: tipico esempio di curiale farisaismo.

Moltissime le opere che don Villa cercò di realizzare; ne citiamo alcune: Nel 1953 lIstituto Missionario Internazionale, con l’obiettivo di diffondere la fede e le vocazioni sacerdotali, ma fu stoppato.

Nel 1957 fu la volta del Movimento Euro Afro Asiatico, legato alla rivista che portava lo stesso nome, regolarmente approvato da monsignor Bosio fu fatto chiudere; evidentemente qualcuno in Vaticano aveva altri «progetti».

La stessa sorte toccò anche alla rivista Colloquio Oriente Occidente, che sarebbe stata in stretto collegamento con un Istituto per le religioni non cristiane.

Nell’ottica della difesa della Chiesa dall’attacco del Modernismo cercò di fondare un Centro di teologi per la salvaguardia dell’ortodossia cattolica, dall’aggressione del progressismo modernista. Lo stop venne direttamente dal Pro Segretario di Stato di Paolo VI, monsignor Giovanni Benelli, il quale poi gli impedì di continuare una serie di «Congressi di studio» permanenti: riuscì a tenerne solo tre, tra l’ottobre 1974 ed il settembre del 1977. A quello tenutosi a Firenze il cardinale Florit ricevette ordine specifico, da Roma, di impedire la partecipazione del clero della città toscana; il cardinale, molto dispiaciuto, si scusò e fece presenziare un vescovo al convegno.

Era chiaro che qualsiasi iniziativa cercasse di mettere in campo per la difesa e la diffusione della fede cattolica, gli veniva sempre impedita e per evitare che si potessero costruire menzognere trame fu costretto a rifiutare donazioni cospicue di ville, o di somme di denaro davvero rilevanti. Un cardinale voleva lasciargli in eredità la sua proprietà, che comprendeva due grandi scuole elementari e medie, due ville, molti ettari di uliveto e persino una chiesa. Rifiutò anche la donazione da parte del cardinale Siri del Convento dei Benedettini a Genova. Era cosciente di quello che stava per abbattersi sulla Chiesa e desiderava quindi evitare di essere implicato in situazioni economico finanziarie per essere libero di continuare quel mandato che gli aveva consigliato padre Pio ed affidato Pio XII.

Lo scrittore Curzio Malaparte, ormai malato di cancro, fu da lui approcciato nonostante il «cordone sanitario» che intorno a lui aveva steso Pietro Secchia: tanto fu l’entusiasmo che egli suscitò, nello scrittore, da fare addirittura la promessa di mettere la sua penna al suo servizio per un’opera che don Villa voleva realizzare. Addirittura gli promise anche la donazione della sua villa di Capri.

L’otto dicembre del 1965 riuscì a fondare, dopo peripezie, promesse e ritardi l’Istituto Operaie di Maria Immacolata.

Per combattere la sua battaglia per la Fede e la difesa della Chiesa aveva assoluto bisogno di una rivista che potesse essere libera e non soggetta a condizionamenti ed eventuali soppressioni da parte ecclesiastica: per fare ciò, su suggerimento del suo amico vescovo monsignor Bosio, si iscrisse all’Ordine Nazionale dei Giornalisti; del resto aveva al suo attivo la pubblicazione di una trentina di opere e di oltre un migliaio di articoli, scritti e pubblicati su riviste e quotidiani non solo italiani. Con questi presupposti nel settembre del 1971 uscì il primo numero di Chiesa Viva, rivista che l’ha visto protagonista fino ad oggi.

Punto di forza del mensile era il fatto che in essa scrivevano dei valenti teologi delle università vaticane; se la rivista non fu attaccata subito frontalmente lo si dovette al fatto che il Vice Direttore di Chiesa Viva era il famoso filosofo tedesco ed ebreo convertito, professor Dietrich von Hildebrand, che Paolo VI conosceva bene, ma che parimenti temeva molto.

Il cardinale Benelli, Segretario di Stato, in odore di Massoneria, era davvero deciso a far tacere quella voce coraggiosa e fuori dal coro. Nelle riunioni con i suoi collaboratori insisteva affinché don Luigi fosse messo a tacere: Benelli era solito ripetere: «Bisogna far tacere quel don Villa!». Ma quando qualcuno obiettava: «Eminenza! bisogna però dimostrare che sbaglia!», il cardinale, irritato, rispondeva: «E allora, ignoratelo e fatelo ignorare!».

Ma fece di più; scrisse personalmente a tutti i vari collaboratori ecclesiastici della rivista invitandoli ad abbandonare la collaborazione, cosa che molti, per quieto vivere e con un equivoco senso di ubbidienza, fecero.

Durante una visita a Vienna al cardinale Joseph Mindszenty don Villa ottenne un forte incoraggiamento da parte del prelato che aveva abbandonato Roma dopo che Paolo VI lo aveva umiliato e sollevato dall’incarico di Primate d’Ungheria: il cardinale gli disse che Papa Montini aveva svenduto i cattolici dell’est ai comunisti in cambio di una «Ostpolitik» da cui ne traevano vantaggio solo i governi filosovietici.

Don Villa divenne sempre più oggetto di un linciaggio ignobile, fu coperto di epiteti infamanti: matto, fascista, anti-semita, fuori della Chiesa, eretico, sacerdote di esasperate tendenze conservatrici e preconciliari, un laceratore della Carità, rigurgito di orgogliosa supponenza nel sentirsi detentore della verità… ed anche, autore di scritti infamanti, degno di provvedimenti punitivi; provvedimenti che però «non vengono presi solo per non umiliare un prete più che novantenne».

A questo punto ci piace ricordare le battaglie condotte contro eminenti prelati accusati di essere Massoni, come i cardinali Poletti, Casaroli, Benelli e Buggini, quest’ultimo autore del Novus Ordo Missae promulgato da Paolo VI; molti di questi nomi comparivano con la sigla anche nella famosa lista Pecorelli, il giornalista direttore della rivista OP, che creò un vero e proprio scompiglio al momento della sua pubblicazione.

L’impegno di difesa della Fede Cattolica passò anche attraverso la pubblicazione di una serie di articoli contro il movimento Neocatecumenale di Kiko Argüello, nei quali si svelavano tutti i retroscena del movimento e si parlava della famosa pubblicazione, tenuta sempre molto segreta, per l’istruzione dell’équipe dei catechisti.

Certamente questi attacchi non piacquero affatto al gran protettore dei Neocatecumenali, il cardinale Camillo Ruini, che per molti anni è stato presidente della Conferenza Episcopale italiana e forse l’uomo più potente oltre le Mura Leonine: un altro potente nemico si aggiungeva al già nutrito novero.

Formella della «Porta del bene e del male»
  Formella della «Porta del bene e del male» (CLICCARE PER INGRANDIRE)
Grossa battaglia fu anche quella sostenuta, dalle pagine di Chiesa Viva, contro la beatificazione di Paolo VI. In questo ambito don Villa scoprì che in una delle porte di bronzo della Basilica di San Pietro il Papa (3) veniva ritratto di profilo e sul guanto della sua mano sinistra compariva un Pentalfa, simbolo chiaramente satanico e massonico. In verità il volto del Pontefice è anche piuttosto arcigno e tutt’altro che serafico.

La denuncia di padre Luigi fece sì che la formella fosse prima rimossa e così da poter rimuovere dal guanto del Papa il Pentalfa: una vittoria significativa.

In sostanza egli svolse, nel Processo di Canonizzazione del Papa, la parte dell’Avvocato del diavolo portando tutta una serie cospicua di prove sull’appartenenza di Papa Montini alla Massoneria e rivelando che, addirittura, era stato ordinato sacerdote senza mettere mai piede in un seminario: davvero una cosa straordinariamente miracolosa!

Paolo VI Beato?
  Paolo VI Beato?
Altro grande duello fu quello che lo oppose al cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano. Chiesa Viva pubblicò nei numeri 246 e 247, un articolo, fortemente critico, sull’intervista rilasciata dell’arcivescovo di Milano, apparsa sul The Sunday Times del 26 aprile 1993. E rincarò la dose sui numeri di Chiesa viva 254 e 255, di settembre e ottobre 1994, pubblicando un altro articolo, critico, su una nuova intervista che il cardinale Carlo Maria Martini aveva rilasciato a Le Monde e pubblicata dal giornale francese il 4 gennaio 1994. Nel gennaio 1996, uscì un altro articolo, con relativo dossier, sul libro del cardinale Martini Israele radice santa, in cui il cardinale incoraggiava i cattolici a leggere il Talmud.

Una delle ultime battaglie sostenuta da padre Luigi Villa fu quella contro la nuova chiesa, progettata da Renzo Piano, a San Giovanni Rotondo e dedicata a San Padre Pio.

Il 1° luglio 2004, la «nuova chiesa» di San Giovanni Rotondo, fu solennemente inaugurata.

«Una ‘nuova chiesa’ per San Padre Pio – Tempio massonico?»
  «Una ‘nuova chiesa’ per San Padre Pio – Tempio massonico?»
Il 20 febbraio 2006, uscì un Numero Speciale di Chiesa Viva, il 381, dal titolo: «Una ‘nuova chiesa’ per San Padre Pio – Tempio massonico?», che dimostrava la natura massonica dei simboli che erano stati impressi, ovunque in questo tempio, e che il loro significato «unitario» era solo la glorificazione della Massoneria e del suo «dio» Lucifero, con orribili insulti a Nostro Signore Gesù Cristo e alla Santissima Trinità.

Da ultimo voglio aggiungere due episodi molto particolari e non molto noti.

Un amico sacerdote, con una grande propensione alla mistica e dotatissimo di particolari doni carismatici, sentì parlare, da me, di don Luigi Villa. Come spesso capitava davanti a certi racconti, il padre assunse un atteggiamento pensoso e concentratissimo, dopo di che, quasi scuotendosi da un torpore estatico, disse che avrebbe avuto piacere di incontrarlo. Lo fece da solo, recandosi a trovarlo a Brescia e qui, prima di congedarsi, fece a don Luigi una insolita richiesta: «Padre Villa mi lasci il suo mantello di Elia». In pratica mi lasci la sua grande capacità carismatica di «defensor fidei» e la sua grandissima potenza spirituale, che come ci insegna la Bibbia, può essere lasciata in eredità a chi ne sia degno, proprio come Elia fece con Eliseo!

Don Luigi con bonarietà e grandissima umiltà, rispose che con Elia purtroppo non aveva niente da spartire, tanto meno da lasciare in eredità, in quanto la sua era stata una battaglia voluta sì dalla Divina Provvidenza, ma combattuta da un uomo «normalissimo» non da un Santo. I due si guardarono ed ognuno, sorridendo, scosse la testa.

L’altro episodio è collegato alla grande amicizia che legava don Villa al professor Giacinto Auriti, al quale aveva messo a disposizione la rivista Chiesa Viva per parlare delle sue teorie monetarie. Don Luigi fu invitato a tenere una conferenza nll’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza di Teramo. Parlò quel giorno di vari argomenti con la solita lucidità e linearità. Dopo ci recammo a cena in un ristorante di Teramo: il ristorante aveva un soffitto come un cielo pieno di stelle, molto originale. Don Villa se ne accorse, rimase in contemplazione un attimo, poi poggiandomi la mano sull’avambraccio disse: «Bellissimo nonostante le nostre miserie, Dio continua ad osservarci e ci ama».

Che Dio lo accolga tra le schiere dei Suoi Santi e di lassù egli preghi per la sua amata Chiesa e per noi peccatori.

Luciano Garofoli






1
) Dobbiamo a lui tante e precise informazioni, sulla vita di don Luigi, che hanno permesso di pubblicare questo articolo.
2) Un analogo episodio successe anni dopo. Invitato per un thè da un altro sacerdote, don Villa si fece accompagnare dall’autista in visita. Non prese assolutamente niente, forse inconsciamente memore di quello che gli era capitato qualche anno prima. L’autista accettò del the e dei pasticcini. Sulla strada del ritorno don Luigi chiese all’autista di accompagnarlo dall’avvocato prima del rientro a Brescia. Arrivati nello studio del legale, l’autista cominciò a manifestare gli stessi sintomi che il prelato aveva manifestato in questo caso specifico. Membra intorpidite, stato di coscienza quasi onirica, forte sudorazione, incapacità di muovere gli arti. Fu costretto a stendersi sul divano: fu chiamato un medico, che costatò l’avvelenamento temporaneo del soggetto. Dopo un po’ lo stato di semi infermità cessò e poté, come era successo a suo tempo a don Luigi, tornare a casa guidando l’auto.
3) Formella della «Porta del bene e del male», una delle porte di bronzo della Basilica di San Pietro; la figura raffigurante Paolo VI, a differenza di quelle riguardanti gli altri Papi, è collocata di profilo.


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Ciò per lo scopo evidente di consentire che venisse offerto alla vista del pubblico il dorso della mano sinistra di Paolo VI su cui era scolpita la «Stella a cinque punte», ossia il «Pentalfa massonico». Proprio per la segnalazione di don Villa, dalla scultura fu cancellato il «Pentalfa».


 
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