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Platone, Aristotele, s. Agostino e s. Tommaso (2)
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Dalle Idee ai Princìpi

a) Le Idee

Il mondo delle Idee viene chiamato da Platone luogo sopra-celeste (Iperuranio) e del pensiero. Le Idee divengono i valori supremi: bontà, verità, essere, bellezza, giustizia. Esse sono definite da Platone come figure, forme e essenze, cioè la bellezza stessa, la bontà in sé, l’ente che è, il bello in opposizione alle cose belle, l’essere in opposizione agli enti esistenti.

La natura delle Idee è etica (bene, bello, giusto, santo) e anche metafisica (essere, non-essere, moto, quiete). Inoltre esse sono semplici, immutabili, immateriali, incorporee, incorruttibili ed eterne. L’interesse principale di Platone si focalizza sui temi metafisici e, allora, per dare una consistenza ontologica alle cose sensibili ricorre al mondo delle Idee (cfr. Convito, 211 a-b).

b) I Princìpi

Le Idee forniscono a Platone solo una parte della spiegazione del mondo sensibile. Esse sono molteplici e varie, quindi spiegano il divenire e la molteplicità degli enti sensibili, ma l’unità, la stabilità, l’essere richiedono una spiegazione che sorpassi anche il mondo delle Idee. Quindi la sfera della molteplicità e varietà delle Idee dipende da una sfera ancora più alta da cui derivano le Idee stesse e questa è la sfera suprema, che è costituita dai primi Princìpi. Non a torto Aristotele vede in questo duplice passaggio (Idee-Princìpi) un doppione, una lungaggine che rischia il regressus ad infinitum. Lo Stagirita dal mondo sensibile, finito, contingente si eleva direttamente al mondo intellegibile, infinito e necessario, ossia all’Atto puro e all’Essere per sé sussistente, eliminando il doppio passaggio introdotto da Platone.

Platone chiama i Princìpi “realtà supreme e prime/tà akra kai prota”. Quindi questa seconda fase della metafisica platonica viene chiamata giustamente da Giovanni Reale protologia o discorso sui Princìpi primi [1], da cui scaturiscono le Idee, che a loro volta spiegano le cose sensibili, grazie al Demiurgo come causa efficiente, ma per Platone non ancora creatrice dal nulla.

Ora la tradizione scritta di Platone è assai ricca per quanto riguarda le Idee, ma quasi nulla si trova di scritto da Platone sui Princìpi. Quindi bisogna rivolgersi alla tradizione orale o alle lezioni di Platone riassunte e messe poi per iscritto dai suoi allievi e specialmente da Aristotele [2] e Teofrasto [3] (v. Kramer e Reale).  

Aristotele (Metafisica, lib. I, cap. 6, 987 b 18-988 a 14) scrive: “poiché le Forme o Idee sono cause delle altre cose [primo livelllo] Platone ritenne che gli elementi costitutivi delle Forme fossero gli elementi di tutti gli esseri. Come causa materiale delle Forme egli poneva il Grande-e-piccolo [4], e come causa formale l’Uno [secondo livello]. Le Idee sono cause formali delle altre cose sensibili [primo livello] e l’Uno è causa formale delle Idee [secondo livello]”.

Teofrasto (Metafisica, lib. I, cap. 6 b, 11-16) dal canto suo scrive: “l’Uno assicura alle Idee e alle cose sensibili un legame comune, che sta alla base della loro gerarchia, mentre il Grande-e-piccolo fornisce la ragione del moltiplicarsi e del differenziarsi degli enti”.

Tuttavia si nota che non vi è ancora in Platone un unico Principio o Causa suprema e incausata di ogni cosa. L’Uno (forma) e il Grande-e-piccolo (materia) sono causa della molteplicità e diversità delle cose sensibili. Dunque non si è ancora giunti alla creazione ex nihilo da parte di una Causa prima per sé sussistente. Il Demiurgo è solo un plasmatore che cala le forme (Idee) nel mondo sensibile. Ma la nozione del Creatore ex nihilo manca anche in Aristotele, il quale inoltre riconosce al Motore Immobile la sola causalità finale e non la causalità efficiente, come farà S. Tommaso (De subst. Sep., c. 14). Secondo Aristotele (Fisica, lib. III) il primo Motore Immobile muove ogni cosa restando totalmente immobile. Quindi attrae moralmente a sé, come oggetto di amore, le altre cose e non le produce fisicamente e realmente nell’essere come causa efficiente. Invece per S. Tommaso Dio esercita non solo la causalità finale (attirando a Sé ogni cosa) ma anche quella efficiente (pur non essendo mosso da nessuno e muovendo tutti) [5].

Le vie o argomentazioni platoniche

Platone risale dai fenomeni sensibili alle Idee e ai Princìpi supremi grazie all’argomentazione benché ancora mista alla mitologia poetica. Egli, dunque, è anche il padre di tutte le ascensioni verso il Principio primo e prove dimostrative della sua esistenza come causa prima del mondo sensibile, pur se il metodo filosofico di cui si serve è ancora imperfetto e verrà perfezionato da Aristotele.

Platone ci narra nel Fedone (100 b-101) di aver avuto un’intuizione che questo mondo sensibile non è tutto e che la sua ragion d’essere o spiegazione si trova in un altro mondo, quello delle Idee, immateriali, invisibili, incorporee, immutabili ed eterne.

Tuttavia Platone capì che occorreva provare con argomentazioni raziocinative (dette “vie”) tale intuizione o folgorazione. Ossia quanto ho intuito corrisponde alla realtà? Per rispondere bisognava provare razionalmente l’intuizione, che altrimenti sarebbe rimasta un mito o un semplice discorso e non una via filosofica e metafisica. Quindi Platone si adoperò, pur senza riuscirvi pienamente, allo stabilimento di vie razionali per dimostrare la risalita dal mondo fisico, osservato e sperimentato, al mondo metafisico intuìto inizialmente.

Le vie platoniche sono sostanzialmente quattro: la via della santità (Eutrifone 11 b-15 e), la via della bellezza (Convito 210 a-211 d), il bene (Repubblica VI, 504 b-505 a; 541 b), la via dell’uno (Parmenide).

Qui espongo e riassumo la via della bellezza che è reputata comunemente la più originale e si trova nel Convito, in cui, la filosofia di Platone per la prima volta è ridotta a sistema in maniera organica. Sappiamo grazie alle ricerche di Kramer (professore emerito di filosofia classica all’Università di Tubinga) e di Reale che Platone non ha scritto sulla questione dei Princìpi, ma ne ha solo parlato e insegnato oralmente. Ora il Convito è una delle pochissime opere in cui Platone fa un’eccezione e scrive sui Princìpi primi, così che nel Convito ci presenta il mondo sensibile, quello delle Idee ed anche quello dei Princìpi. Il Principio supremo qui si chiama Bellezza.

Platone parla due volte del metodo che bisogna seguire per ascendere dalle cose belle alla Bellezza assoluta. Il metodo proposto da Platone è quello della risoluzione dei fenomeni contingenti del bello nella Bellezza assoluta e suprema. Si tratta di una risoluzione o dimostrazione metafisica, il che non è poco ed è pienamente sulla via che sarà battuta, in maniera più dimostrativa, da Aristotele.

Questo mondo è contingente, non è assoluto o perfetto e in particolar modo i fenomeni della bellezza visti in questo mondo non sono tutta la Bellezza; essi perciò rinviano ad una Bellezza trascendente, primo Principio di ogni bellezza contingente.

Platone constata che c’è il divenire, ma, non può essere causa di sé. Quindi esiste una causa del mondo e del suo divenire ed è il Demiurgo, che non può non essere un’Intelligenza sommamente ordinatrice. Come si vede le vie tomistiche non si allontanano da quelle platoniche, ma ne eliminano il doppione e le perfezionano. Quindi non è esatto mettere Platone a fianco di S. Agostino contro Aristotele e S. Tommaso e fare di S. Tommaso un semplice commentatore di Aristotele.

Si può fare un paragone: come “la grazia non distrugge la natura, ma la presuppone e la perfeziona” [6], così Aristotele non distrugge Platone, ma lo presuppone e lo perfeziona.

L’apofatismo platonico

Una pecca del Convito e della teologia razionale di Platone è il linguaggio rigorosamente negativo o apofatico riguardo ai Princìpi. Infatti secondo Platone si può dire solo ciò che il Principio (e nel Convito è la Bellezza) non è: la bellezza non diviene, non perisce, non s’accresce, non scema, non è corporea. Platone apre la via all’apofatismo, sistematizzato e portato alle estreme conclusioni in maniera definitiva da Mosè Maimonide, mentre è stato corretto da S. Tommaso alla luce dello pseudo-Dionigi (I Nomi divini) e del concetto di analogia [7].

L’apofatismo (dal greco a-pophasis = non-affermare o negatio) è l’errore che nega la capacità umana di affermare qualsiasi cosa su Dio, l’esistenza così come e soprattutto la conoscenza dei suoi attributi o qualità. Può darsi che Dio esista, ma l’uomo non riesce a provarlo con certezza; soprattutto nulla può dire della sua natura, quali siano le sue caratteristiche. Esso è una forma di a-gnosticismo (a-ghignosco = non conosco) teologico che sfocia poi nel nichilismo teologico e nasce dalla tendenza a limitare eccessivamente la capacità della ragione umana di conoscere con certezza la verità o la realtà; se ciò è in ordine all’Assoluto è apofatismo teologico, se si ferma alle verità o realtà naturali è soltanto agnosticismo filosofico.

Al contrario S. Tommaso insegna che la conoscenza umana, pur non essendo perfetta e non potendo conoscere tutto di tutta la realtà, arriva con certezza a conoscere alcune cose e la verità di qualche realtà e, per vera e propria analogia in senso stretto, anche quelle superiori a sé [8].

San Tommaso d’Aquino (In De Divinis Nominibus) insegna che l’uomo, con la sola ragione naturale, può dimostrare con certezza, a partire dalle creature, l’esistenza del Creatore e può conoscere anche qualche attributo o perfezione (“Nomi”) dell’Essere stesso per se sussistente. Ciò può avvenire in diversi modi. 1°) Per causalità: le perfezioni miste a qualche limite (l’ente per partecipazione o le creature) si trovano in Dio causalmente, in quanto Dio è la loro Causa prima incausata; 2°) per affermazione: le perfezioni pure senza alcun limite (essere, unità, verità, bontà e bellezza) si trovano formalmente o intrinsecamente in Dio e quindi si può affermare (contrariamente all’apofatismo o inesprimibilità) che Dio è l’Essere, l’Uno, il Vero, il Bene, il Bello, per essenza o per se stesso sussistente; 3°) per negazione: si esclude ogni limite (corpo, morte, male) e si giunge così al 4°) modo, quello di eminenza: una perfezione pura si trova in Dio in maniera eminente o superlativa, che trascende ogni limite umano, mentre si trova nelle creature in maniera limitata e per partecipazione (l’uomo ha un po’ di essere, verità, bontà finitamente e in maniera partecipatagli da Dio). Le perfezioni pure si attribuiscono a Dio formalmente e senza alcun limite o in-finitamente onde Dionigi premette ad ogni nome o attributo divino il “super”: Dio è super-Ente/Bello/Vero/Buono.

Secondo numerosi studiosi (Festugière [9], Dodds, Bréhier [10]) la dottrina dell’ineffabilità di Dio risale a Platone. La ragione ultima dell’ineffabilità di Dio, e dunque dell’apofatismo, risiede per Platone nell’assoluta trascendenza del Divino e nella finitezza dell’intelletto umano. Solo con il concetto di analogia di Aristotele e S. Tommaso si uscirà dall’impasse dell’apofatismo, che rischia di portare al nichilismo teologico.

Un altro limite di Platone, come già accennato, è la sua antropologia filosofica, che considera l’uomo solo come anima e il corpo uno strumento (di prigionia e tortura) distinto dall’uomo sul quale questi si trova come seduto, come il cavaliere sul cavallo (Fedone 80 a-b). Il corpo è un intruso, un fardello, una prigione per l’anima, un mezzo da cui purificarsi e liberarsi.  

I rapporti (ponti) che collegano il mondo sensibile e quello soprasensibile

Dopo aver dimostrato razionalmente, mediante le quattro vie, l’esistenza di un mondo metafisico e soprasensibile a partire dalla esistenza del mondo fisico e sensibile e grazie ai concetti del Demiurgo come causa efficiente, delle Idee e dell’Uno (Princìpi) come causa formale, del Grande-e-piccolo (Princìpi) come causa materiale, del Bene (Idee) come causa finale, Platone chiarisce la natura dei rapporti (ponti) che collegano i due mondi.

I Ponti platonici sono: 1°) la partecipazione del mondo sensibile a quello intelligibile causata dalle Idee; 2°) la formazione del mondo causata dal Demiurgo; 3°) la moltiplicazione e differenziazione delle cose sensibili causata dal Grande-e-piccolo o Diade indeterminata (una sorta di “materia prima”, capace di ricevere qualsiasi forma sostanziale); 4°) l’ordine causato dal Bene o fine.

Il concetto di partecipazione lo troviamo nel Fedone (100 b-d) e di esso si serve per spiegare il rapporto tra le Idee e il mondo sensibile. Innanzi tutto le Idee son cause del mondo sensibile perché il sensibile è imitazione dell’intelligibile, il quale non riesce mai ad eguagliarlo; poi il sensibile partecipa o ha parte dell’intelligibile nella misura in cui realizza la propria essenza; infine il sensibile ha una quasi comunanza o confina con l’intelligibile poiché l’intelligibile è fondamento e causa del sensibile.

Il ponte della partecipazione platonica, non particolarmente apprezzata da Aristotele [11] e perfezionata da S. Tommaso d’Aquino, gli permette di conciliare, di mettere in rapporto il sensibile con l’intelligibile, l’immanente (o la presenza dell’intelligibile nel sensibile come quella della causa nell’effetto) con il trascendente.

Il concetto di partecipazione lo si trova come elemento fondante nel sistema di Platone (applicato all’Iperuranio quale causa formale del mondo sensibile) e poi, perfezionato, in quello di S. Tommaso d’Aquino (applicato all’Essere per essenza quale causa efficiente degli enti per partecipazione) [12].

Platone si serve della partecipazione per spiegare i rapporti che intercorrono tra il mondo sensibile e il mondo delle Idee o Iperuranio. Secondo Platone (Parmenide) il mondo sensibile partecipa del mondo delle Idee. Per esempio, le cose belle di questo mondo sensibile, in cui noi uomini viviamo, partecipano della Idea della Bellezza. S. Tommaso legge la partecipazione alla luce della causalità efficiente e spiega che gli enti finiti o per partecipazione traggono origine per causalità efficiente dall’Essere sussistente per sua essenza. Quindi l’Essere per essenza o il Creatore è causa degli enti per partecipazione, che sono i suoi effetti o le sue creature. Gli enti finiti non hanno una parte fisica dell’Essere per essenza, poiché l’Essere è semplice, senza parti e indivisibile. Perciò gli enti creati posseggono in maniera finita e limitata le perfezioni assolutamente perfette e illimitate dell’Essere per essenza.

La partecipazione tomistica è molto più perfetta di quella platonica poiché rientra nell’ordine della causalità efficiente creatrice ex nihilo e non solo informatrice del mondo materiale mediante le Idee come causa formale e il Demiurgo come causa efficiente ma non creatrice. Essa è anche superiore a quella di Aristotele (Fisica, lib. III) che assegna al Motore Immobile la sola causalità finale e non quella efficiente mentre San Tommaso attribuisce a Dio e la causalità efficiente e quella finale [13].

Quella platonica è una metafisica del trascendente che grazie al concetto di partecipazione non trascura la presenza delle Idee nel mondo sensibile. Grazie alla partecipazione platonica la metafisica si arricchisce di un concetto fondamentale che rende ragione della presenza limitata dell’essere negli enti sensibili. La partecipazione del mondo sensibile a quello delle Idee è resa possibile grazie all’azione plasmatrice del Demiurgo, la quale rende solidi i ponti che collegano il mondo sensibile a quello intelligibile.

Il Demiurgo

Il Demiurgo non è il Dio creatore ex nihilo. Ora la partecipazione risolve il problema dei rapporti tra il mondo della materia e quello dello spirito solo se viene intesa come causalità efficiente e non semplicemente formale. Con Platone la partecipazione non è ancora vista come azione creatrice, ma il Demiurgo ha il ruolo di impiantare le Idee nel mondo sensibile e materiale e quindi ha un ruolo di causa efficiente anche se non creatrice dal nulla. Quindi le Idee sono causa formale del mondo sensibile e il Demiurgo ne è causa efficiente.

Tuttavia il Demiurgo non è il supremo Essere per Platone: solo con Aristotele il primo posto spetta a Dio, ma senza causalità efficiente e con la sola causalità finale.

Certamente il Demiurgo occupa un posto importantissimo nella metafisica platonica, ma non il più alto, che spetta all’Uno/Bene. Il Demiurgo si ispira al Bene come ad un modello nella plasmazione del mondo fisico e del mondo metafisico. Egli, produce ogni cosa, ma sempre guardando e ispirandosi previamente a qualcosa come modello, causa esemplare, punto di riferimento e, siccome il mondo è meravigliosamente ordinato, significa che il modello del Demiurgo, che è il Bene, è perfetto e completo. Tuttavia senza il Demiurgo il mondo sensibile non esisterebbe e neppure il mondo delle Idee che egli applica al mondo sensibile. Il Demiurgo non è un mito, è un concetto metafisico e la sua azione non è mitologica ma ontologica (Filebo 26 e-28 e).

La metafisica platonica elimina il caso come spiegazione del mondo. Una forza irrazionale non può produrre un mondo ordinato e gerarchizzato e perciò occorre ammettere l’esistenza di una Intelligenza ordinatrice come causa efficiente del mondo ordinato. Nel Filebo (28 e) Platone scrive: “affermare che le cose abbiano origine per caso non pare affatto che sia una cosa santa. Invece affermare che un’Intelligenza ordina tutte le cose è degno dello spettacolo che ci offre il cosmo”.

Platone era politeista. Nella Grecia antica il politeismo era la norma ed anche un genio filosofico come Platone non l’ha superata. Per lui esistono due somme Divinità: una impersonale (Uno/Bene) e una personale, ossia intelligente e libera (Demiurgo) [14].

Le prove razionali dell’esistenza di Dio

Nei suoi Dialoghi Platone ha elaborato numerose prove razionali dell’esistenza di Dio, che sono chiare anticipazioni (assieme a quelle aristoteliche) delle cinque vie di S. Tommaso d’Aquino [15].

Le vie dei gradi di perfezione, di cui ho parlato sopra, le troviamo nella Repubblica (il Bene), nel Convito (il Bello), nel Sofista (l’Uno); invece le vie della causalità le troviamo nel Filebo (25 b-28 e) e nel Timeo (27 c-29 a) e si basano sulla generazione; la via dell’ordine le troviamo ancora nel Timeo e nel Filebo e conducono all’Intelligenza ordinatrice. Inoltre vi sono le vie del movimento (che non si basa come in Aristotele e S. Tommaso sul passaggio dalla potenza all’atto, ma sul primato del più perfetto rispetto all’imperfetto e dunque è una variazione dell’argomento dei gradi di perfezione), di cui si tratta nelle Leggi (X, 886 a - 897 b) e le vie della contingenza di cui si tratta nel Fedro. Platone constata che esistono movimenti causati e, siccome tutto ciò che è mosso o causato deriva il suo movimento e il suo essere da una Causa prima e necessaria, ogni movimento causato e ogni ente contingente ne prova l’esistenza (Fedro 245 b-d).

Tuttavia “la dottrina dell’eternità della materia impedì a Platone come a tutti i filosofi greci di giungere a concepire in modo esplicito tutta la forza dell’argomento della contingenza. Platone non lo presenta sotto l’aspetto in cui verrà considerato dalla filosofia cristiana munita della nozione di creazione. […]. Produrre, causare l’essere in quanto essere, in tutta la sua interezza, per Platone e per tutti pensatori greci era un’assurdità” [16].

L’immortalità dell’anima


Platone considera l’uomo come sola anima; il corpo è un accidente estrinseco all’uomo e un ostacolo alla sua anima, della quale egli dimostra l’immortalità (Gorgia 492).

Il Dialogo in cui Platone dà la miglior prova metafisica e razionale dell’esistenza dell’anima e della sua immortalità è il Fedone (78 b-115 a). L’anima conosce e vuole (e l’uomo lo sperimenta quotidianamente) delle cose immutabili ed eterne, non sensibili e materiali (il Bello, il Bene, il Vero). Quindi essa ha una natura spirituale e immateriale. Ora ciò che è immateriale non è esteso, non è corruttibile e dunque è imperituro o immortale. Quindi l’anima umana è immortale.

La sorte dell’anima può essere triplice: 1°) se l’anima ha vissuto abitualmente nella virtù sarà ricompensata; 2°) se ha vissuto inguaribilmente e costantemente nel vizio riceverà un castigo senza fine; 3°) se ha compiuto solo mali sanabili e correggibili e si è pentita di essi sarà punita per un certo lasso di tempo [17].

L’etica antisofistica di Platone


All’epoca di Socrate e Platone i sofisti proclamavano – come duemila anni dopo farà Nietzsche [18] – che la verità è sempre del più forte e del prepotente, il quale si beffa di tutto e si gode la vita, che soddisfa tutte le passioni, anche le più basse; la virtù, invece, è una sciocchezza, un oppio, la temperanza un assurdo, che rende la vita simile alla morte (Gorgia).

Platone è l’antisofista per essenza e l’antinichilista in anticipo di due millenni. Questo spiega l’odio verso Platone nutrito dai sofisti di ogni tempo, da Nietzsche e dal padre del pensiero debole e antimetafisico Karl Popper e dai suoi accoliti del liberismo economico (Hayek e Mises).  Costoro hanno ben capito che il padre o l’iniziatore della metafisica è Platone, anche se Aristotele lo ha completato e corretto parzialmente e poi S. Tommaso lo ha perfezionato definitivamente e quindi odiano in primis Platone e in secundis Aristotele e S. Tommaso.

L’etica platonica è fondata su quella naturale e precorre per certi aspetti quella cristiana (i filosofi romani medio-platonici o stoici: Epitteto, Marco Aurelio, Seneca e Cicerone, si sono ispirati a Platone nella loro filosofia morale, che è assai vicina a quella evangelica). Platone scrive che se il giusto soffre in questa vita ed è vittima delle prepotenze dei violenti e dei prepotenti, soffre nel corpo e lo può anche perdere (il che non disturba il nostro filosofo dato il suo disprezzo esagerato del corpo), ma salva l’anima e per sempre, poiché essa è spirituale e dunque incorruttibile e immortale (Gorgia, 527 b-d).

La metafisica platonica e quella aristotelica

Platone non ha scritto nessun trattato completo di metafisica, Aristotele sì. Tuttavia Platone è il padre e il primo fondatore della metafisica classica. La sua è una filosofia caratterizzata dal pensiero forte (avversata quindi da Popper, Hayek e Mises, rappresentanti del “pensiero debole”). Platone sostiene a spada tratta la superiorità della metafisica sulla scienza empirica (quindi è disistimato dall’empirismo illuministico britannico del XVIII secolo, padre del neoconservatorimo anglo/statunitense di Edmund Burke e Russel Kirk). Le certezze filosofiche del platonismo sono fortissime, incrollabili, legate ai valori perenni, stabili e assoluti (Bene, Vero, Giusto, Bello). Egli ha lottato contro il soggettivismo relativistico della sofistica e contro il naturalismo dei presocratici. Si può dire che con Platone inizia lalotta della filosofia contro l’antifilosofia [19]: la filosofia è la metafisica trascendente il mondo sensibile, che inizia con Socrate e Platone, è perfezionata da Aristotele e sublimata da S. Tommaso d’Aquino, mentre l’anti-filosofia è quella che nega la metafisica trascendente per affermare ogni tipo di immanentismo.

Tuttavia Platone manca di un esatto concetto di persona, che sarà introdotto da Aristotele, ed ha un falso concetto di uomo visto come “sola anima” e non come “unione sostanziale di anima e corpo” (Aristotele).

Un altro grosso limite della filosofia di Platone è il concetto di male morale come effetto non della libera volontà della persona umana (Repubblica II, 379 c), ma come prodotto della Diade indeterminata ossia della ‘materia prima’ non ancora informata e attuata dall’Uno tramite il Demiurgo (Leggi X, 896 e), che non è il Creatore, ma solo un ottimo Artigiano o Artefice del mondo sensibile in cui cala le Idee e i Princìpi primi.

Conclusione

Grandezza e limiti di Platone

Secondo Platone i fenomeni sensibili sono fondati nelle Idee. Di qui un certo dualismo, che permane nella dottrina platonica nonostante la rivisitazione dei Dialoghi della vecchiaia e l’insegnamento orale impartito all’Accademia. Quindi per Platone vi sono due piani di realtà: la vera realtà, che è quella metafisica, ideale, immutabile, il mondo delle Idee e dei Princìpi; e la realtà apparente, fittizia, fenomenica, che è il mondo sensibile e materiale. Di qui una svalutazione erronea della materia (che sarà corretta da Aristotele) per affermare il primato della metafisica.

“Aristotele non è il padre della metafisica, ma lo è della metafisica rigorosamente scientifica e filosofica […] attrezzandola di un linguaggio preciso, fatto di concetti ben definiti e non più quello del mito, del dialogo discorsivo e della lirica, al quale aveva fatto ricorso Platone” [20]. Come si è potuto vedere, Platone possiede un disegno metafisico geniale anche se lo ha costruito in maniera non altrettanto certa e cogente di Aristotele, il quale ha potuto servirsi e giovarsi della dottrina del suo maestro e, correggendone i difetti, è giunto ad un sistema filosofico quasi perfetto, che conoscerà in S. Tommaso d’Aquino il suo vertice sostanzialmente insuperabile.

Le nostre radici etniche, culturali, spirituali sono mediterranee: la Terra Santa, la Grecia (Platone e Aristotele), la Roma antica (Seneca, Cicerone, Marco Aurelio) e cristiana con la Patristica (S. Agostino), la Scolastica (S. Tommaso) e la contro-riforma (Gaetano, Ferrarense, Soto, Mariana, Suarez, Bellarmino). Esse non sono né atlantiche, né islamiche. La modernità, l’illuminismo britannico, quello francese e l’americanismo (pragmatista, mondialista e neoconservatore) non fanno parte della nostra vera fonte di acqua pura. Non si può pensare di trapiantare la civiltà europea in un terreno che le è totalmente avverso, ne morirebbe come de facto ne sta morendo. Un albero piantato sul cemento secca.

Con il Cristianesimo si aprono nuovi orizzonti metafisici che sfuggivano al paganesimo: il concetto di persona, la libertà umana, la creazione dal nulla, la provvidenza, il male morale. S. Agostino ha saputo innestare queste verità rivelate sull’albero della filosofia di Platone ed ha fondato e sistematizzato la Patristica correggendo il platonismo soprattutto dal suo disprezzo per la materia.

“Ciò che Agostino d’Ippona aveva fatto con Platone e Plotino, Tommaso d’Aquino seppe fare con Aristotele. È vero che S. Tommaso ha approfittato anche dell’eredità platonica, ma il suo principale interlocutore e ispiratore fu Aristotele. […]. Però la filosofia di S. Tommaso non è una semplice riedizione o trasposizione dentro lo schema creazionistico della metafisica aristotelica, è una nuova elaborazione del paradigma della metafisica dell’essere [21].    

Platone, pur avendo delle imprecisioni nel suo sistema filosofico, ha aperto la via alla metafisica trascendente. Certamente è stato precisato da Aristotele cui spetta il merito di aver reso scientificamente filosofica la metafisica trascendente, ma non si deve dimenticare che Platone, pur essendo anche un poeta, un mistico, un contemplativo e un finissimo letterato, non manca di rigore raziocinativo, di sistematicità e di impianto metafisico.

Platone ha il merito di aver cercato la causa della contingenza nel meta-sensibile, anche se adduce l’argomento della reminiscenza come prova dell’esistenza del mondo delle Idee, che è la causa di quello sensibile. Infatti, secondo lui, gli uomini posseggono le idee o i concetti razionali, che non derivano dai sensi e dall’esperienza, quindi significa che ne hanno preso visione in una vita precedente nel mondo delle Idee o Iperuranio.

Si può dire, perciò, che l’intento metafisico e ultra-sensibile di Platone è geniale, anche se il suo procedere per dimostrarlo rimane discutibile, almeno negli scritti della maturità, corretti in parte da quelli della vecchiaia e dall’insegnamento orale.

Aristotele mantiene fermo l’intento platonico di stabilire una “prima filosofia/proté philosophia” o una metafisica e mantiene anche gli stessi obiettivi di Platone: la scoperta delle vere cause, le ragioni ultime del mondo sensibile. Tuttavia ciò che lo differenzia da Platone è il suo partire dall’esperienza sensibile per giungere al mondo soprasensibile. Ma egli non si ferma al mondo sperimentabile e fenomenico, è un vero metafisico che dai sensi arriva all’intellegibile, ossia alla metafisica trascendente, come aveva fatto, in maniera meno esatta e sistematica, Platone stesso. Così Aristotele ripensando e correggendo i punti deboli della metafisica platonica l’ha resa più solida e ne ha dato le ragioni inconfutabili.

Si può concludere che Aristotele criticando il platonismo in certi suoi aspetti (realismo esagerato) lo ha corretto da una mancanza di dimostrazione razionalmente ineccepibile e lo ha fondato su basi più solide servendosi di argomentazioni più probanti, con un linguaggio preciso e un metodo rigoroso. Aristotele ha definito, analizzato, distinto, classificato e sintetizzato ogni cosa nel campo metafisico pur fermandosi alla sostanza e non giungendo all’essere come atto ultimo di ogni atto e perfezione, come vi è giunto poi S. Tommaso.

S. Tommaso trascende Platone, giunto soltanto all’essenzialismo della ‘idea’, come pure Aristotele, fermatosi all’essenzialismo della ‘forma’ e della ‘sostanza’, da entrambi presentate senza il riferimento al vero essere, che le perfeziona ed ultima. S. Tommaso trascende questi due filosofi elevando al vertice dell’essere come atto che perfeziona idea e sostanza quanto c’è di valido in entrambi gli indirizzi (Cfr. De Subst. sep.,c. 3). Si dovrebbe dunque distinguere il tomismo genuino dall’essenzialismo del platonismo e dell’aristotelismo per farlo emergere nella sua genialità originale di atto di essere, perfezione ultima di ogni forma.

S. Tommaso ha fatto conoscere in Europa Aristotele e lo ha fatto trionfare su Platone e sul “platonismo cristiano” di Agostino soprattutto nel campo della logica: “niente entra nell’intelletto se prima non passa attraverso i sensi”; la ragione umana da sé senza una speciale illuminazione divina ha la capacità di conoscere la realtà, ma servendosi dell’astrazione dell’essenza intellegibile dalla cosa sensibile; le idee sono enti logici con fondamento nella realtà (realismo moderato) e non cose fisiche (realismo esagerato) [22].

Quanto alla filosofia morale di Platone si può affermare che l’etica platonica è fondata su quella naturale e – come abbiamo visto – precorre per certi aspetti quella cristiana.

Nei manuali di storia della filosofia, generalmente Aristotele viene presentato come l’anti-Platone. Ma ciò è vero solo in parte. Infatti “le filosofie di Platone ed Aristotele nella sostanza coincidono. Sia per Platone che per Aristotele esistono due mondi, uno immateriale e intellegibile, l’altro materiale e sensibile, e la causa del mondo materiale viene riposta da entrambi nel mondo sopra-sensibile: nelle Idee da Platone e nel Motore Immobile da Aristotele. Quindi le divergenze tra Platone e Aristotele non stanno nella visione globale della realtà, che è metafisica, ma nel metodo per dimostrarla. Aristotele ribalta il metodo del realismo esagerato platonico. I due piani (sensibile e intellegibile) della conoscenza e della realtà non vengono contrapposti da Aristotele come invece lo erano da Platone, ma sono collegati: sicché per Aristotele il piano intellettivo non è possibile senza quello sensibile” [23].

S. Tommaso aderisce al realismo moderato della conoscenza di Aristotele e si distanzia da quello esagerato di Platone; d’altronde fa suoi alcuni princìpi di derivazione platonica (partecipazione, causalità efficiente nel primo Motore immobile) cercando di operare un accordo tra Platone e Aristotele, in base della dottrina dell’analogia di quest’ultimo (cfr. S. Tommaso d’Aquino, De substantiis separatis, cap. 2: In quo conveniunt Plato et Aristoteles; cap. 3: In quo differunt…) [24].

L’Angelico, infatti, nota un accordo sostanziale trai due filosofi greci circa il loro intento metafisico ed evidenzia il loro disaccordo accidentale soprattutto circa il metodo (induttivo in Aristotele e deduttivo in Platone) e la terminologia, più poetica in Platone e più filosofica in Aristotele.

Il tomismo è, quindi, vòlto più verso la sintesi sostanziale (malgrado le divergenze metodologiche) che per l’inconciliabilità tra Platone e Aristotele. In ogni caso S. Tommaso supera il punto morto dell’antitesi tra i due filosofi e li sublima in una sintesi che li distingue per unire, arrivando alla metafisica dell’essere come atto ultimo (tomistico) dell’essenza (aristotelica) e della partecipazione (platonica) [25].

Mi sembra quindi doveroso e giusto concludere con la citazione d’apertura di Giovanni Reale:

Non si può capire Aristotele se non iniziando con lo stabilire quale sia la sua posizione nei confronti di Platone. Se si va al nucleo strettamente teoretico, si riscontrano alcune concordanze di fondo cospicue, troppo spesso fraintese nelle epoche successive, interessate a contrapporre i due filosofi e a farne opposti simboli. Invece Aristotele fu il più genuino dei discepoli di Platone. Infatti ‘genuino discepolo’ di un maestro non è colui che ripete il maestro, ma colui che, muovendo dalle teorie del maestro, cerca di superarle andando oltre il maestro verso la verità, ma nello spirito del maestro” [26].

d. Curzio Nitoglia



1] Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle “Dottrine non scritte”, Milano, Vita & Pensiero, ed. XVII, 1996, p. 216.

2] Metafisica, lib. I, cap. 6, 987 b 18-988 a 14.

3] Metafisica, lib. I, cap. 6 b, 11-16. Per quanto riguarda i frammenti della Metafisica di Teofrasto, cfr. G. Reale, Teofrasto e la sua aporetica metafisica. Saggio di ricostruzione e di interpretazione storico-filosofica con traduzione e commento della “Metafisica”, Brescia, 1964.

4] il Grande-e-piccolo o Dualità non è il numero 2, così come l’Uno non è il numero 1. Essi sono concetti metafisici e quindi sono meta-matematici o al di sopra della matematica e dei numeri. Il Grande-e-piccolo è il principio della molteplicità degli enti fisici. La Diade si chiama anche Grande-e-piccolo o principio di diversità e molteplicità. Essa sarà chiamata più  tardi da Aristotele materia prima o capacità di ricevere tutte le forme sostanziali per dar luogo alle diverse o molteplici sostanze complete di questo mondo sensibile. Giovanni Reale scrive: “la Diade è una sorta di materia sensibile, indeterminata, la quale fungendo come sostrato all’azione dell’Uno (causa formale o atto) produce la molteplicità delle cose in tutte le sue forme” (Platone, cit., p. 224).

5] S. Tommaso d’Aquino, In III Phys. Arist., lect. 2., n. 285, S. Th., I, q. 63, a. 3; S. c. Gent., II, c. 16, n. 935.

6] S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2.

7] Cfr. S. Th., I, q.3, a. 7, ad 1; ivi, I, q. 13, a. 5; Comp. Th., c. 130, n. 261; I Sent., d. 8, q. 4, a. 2; ivi, d. 19, q. 5, a. 2, ad 1; In II Sent., d. 19, q. 9°. 5; Comm Ethica, I, lectio 7, n. 95-96; De pot., q. 7, a. 1, ad 8; De Ver., q. 2, a. 11; S. Th., I, q. 105, a. 1, ad 1.

8] Cfr. A. Zacchi, Dio, I vol., La negazione, Roma, Ferrari, 1925, p. 167 ss.

9] A. J. Festugière, La révelation d’Hermés Trismegiste ; IV : Le Dieu inconnu, Parigi, 1954.

10] E. Bréhier, “Le Parménide de Platon et la théologie négative de Plotin”, in Sophia, 1938, p. 35.

11] Metafisica, lib. I, 987 b 10 s.

12] Padre Cornelio Fabro ha sviscerato meglio e prima di tutti questa tematica, cfr. La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Torino, SEI, 1939; Id., Partecipazione e causalità, Torino, SEI, 1961.

13] S. Tommaso d’Aquino, In III Phys. Arist., lect. 2., n. 285, S. Th., I, q. 63, a. 3; S. c. Gent., II, c. 16, n. 935.

14] Cfr. A. Dies, «Le Dieu de Platon», in AA. VV., Autour d’Aristote, Lovanio, 1955, pp. 61-67.

15] Cfr. J. M. Dorta-Duque, En torno a la existencia de Dios, Santander, 1955, p. 15 e 21.

16] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, EDD, 1998, 1° vol., Platone, p. 224.

17] Cfr. A. E. Taylor, Plato. The Man and his Work, Londra, 1952, tr. it., Platone, Firenze, 1968.

18] Cfr. Gf. Morra, Il cane di Zarathustra. Tutto Nietzsche per tutti, Milano, Ares, 2013.

19] B. Mondin, Storia della metafisica, Bologna, ESD, 1998, 1° vol., Platone, p. 253.

20] B. Mondin, Manuale di filosofia sistematica, vol. 3°, Ontologia e Metafisica, Bologna, ESD, 1999, pp. 29-30.

21] B. Mondin, Manuale di filosofia sistematica, vol. 3°, Ontologia e Metafisica, cit., p. 39.

22] Cfr. C. Fabro, Percezione e pensiero, Brescia, II ed., 1962; Id., La fenomenologia della percezione, Brescia, II ed., 1961; E. Gilson, Réalisme thomiste et critique de la connaissance, Parigi, Vrin, 1947; S. Vanni-Rovighi, Gnoseologia, Brescia, 1979.

23] B. Mondin, Manuale di filosofia sistematica, Bologna, ESD, 1999, vol. 1°, Logica, semantica, gnoseologia, pp. 174-175.

24] Cfr. Clemens M. J. Vansteenkiste, Platone e san Tommaso, in Angelicum, n. 34, 1957, p. 319 ss.

25] Cfr. C. Fabro, Introduzione a San Tommaso, Milano, Ares, 1983, cap. III, Formazione del tomismo, par. 1, Le fonti, pp. 68-83; M. Grabmann, Des heiligen Augustinus quaestio de Ideis, in Mittelalterliches, Monaco, 1936, parte II, p. 32 ss.

26] G. Reale, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, 1° vol., Antichità e Medioevo, Brescia, La Scuola, 1983, p. 130.


 
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